mercoledì 2 gennaio 2013

I LATINI

Latini furono un antico popolo indoeuropeo storicamente stanziato, a partire dal II millennio a.C., lungo la costa occidentale della Penisola italica, nella regione che da loro prese il nome di "Latium". Politicamente frazionati, i Latini condividevano lingua (il latino) e cultura. Diedero un contributo determinante alla formazione del popolo di Roma (Quiriti), città che nel corso del I millennio a.C. avrebbe esteso la lingua e la cultura latina a gran parte del bacino del Mediterraneo e dell'Europa. Per tale ragione il termine "latino" è spesso impiegato anche come sinonimo di "romano".


Enea che fugge da Troia (1598) di Federico Barocci,Galleria Borghese, Roma
Esiodo, nella Teogonia[4], si occupa della figura di Latino, sovrano di un popolo del Tirreno, i Latini, che per la prima volta sono citati come abitanti delLatium. I primi a stabilire una connessione ben precisa fra quest'ultima regione ed una città dell'Asia minore, Troia (attraverso la figura di Enea), furono due scrittori greci del V secolo a.C.Ellanico di Lesbo e Damaste di Sigeo. Oltre un secolo più tardi lo storico siciliano Timeo di Tauromenio, che per primo fece conoscere al mondo Roma e le sue istituzioni, fa menzione dell'origine troiana dei Penati custoditi in un santuario di Lavinium, città sacra per tutta la nazione latina. Fabio PittoreTito LivioDionisio di AlicarnassoAppiano di Alessandria e Cassio Dione accreditano tutti la versione di Ellanico, Damaste e Timeo. Nella sua Storia di Roma, Livio scrive: «fondano una città, Enea le dà il nome, da quello della moglie, di Lavinium». In quegli stessi anni tale narrazione troverà un'imperitura sublimazione poetica nell'Eneide di Virgilio.
Secondo l'opinione degli storici antichi, e del massimo poeta epico romano, dopo la morte del re Latino e, più tardi, dello stesso Enea, la popolazione autoctona si fuse con i Troiani e diede origine al popolo latino (XII secolo a.C.).[1]

Le ipotesi della storiografia moderna [modifica]

I Latini discesero in Italia nel corso del II millennio a.C.[5], provenienti forse dall'Europa centrale danubiana o, secondo la storiografia greco-romana, dall'Asia minore, anche se teorie su una loro origine autoctona non sono da escludere.
La migrazione Latina avvenne via terra, seguendo il percorso naturale dato dalla dorsale appenninica[6] da nord a sud, seguendo il versante occidentale della penisola[7]. Secondo l'ipotesi del Mommsen la migrazione del gruppo Latino, si sarebbe estesa dal Lazio fino all'attuale Calabria. In seguito ai successivi arrivi di Greci e Sanniti, la presenza di popolazioni Latine, si sarebbe contratta, fino a coincidere con il Lazio Antico[8].
Anche le altre popolazioni italiche di epoca storica, quali SabiniUmbriVolsciSannitiMarsi e Sabini, appartenevano al gruppo di popolazioni indoeuropee, stanziatesi in Italia, a seguito di migrazioni via terra, lungo la dorsale appenninica, seguendo un percorso da nord a sud, successive a quella dei Latini[9]. I Latini diedero origine al popolo romano.
Oggetto di dibattito è, oltre il luogo di provenienza del popolo latino, anche l'età in cui avvenne la sua migrazione nell'attuale Lazio. L'archeologia rileva che nella tarda età del bronzo il territorio a sud del Tevere era caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale (X-VIII secolo a.C.), regionalizzazione della precedente cultura protovillanoviana (collegabile con la civiltà dei campi di urne dell'Europa centrale) che uniformò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C. sovrapponendosi alla cultura appenninica che dominava la regione nei secoli precedenti. Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'ethnos latino che sul finire del secondo millennio a.C. si era già già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa»[10].

Popoli albensi (dal XII-X secolo a.C.) [modifica]

L'antico Latium vetus ed i suoi principali centri abitati.
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Popoli albensi.
È ormai storicamente accertato che una popolazione diversa da quella precedentemente residente sia arrivata nel Latium in epoca protostorica. Tale popolazione, sulla base di considerazioni di indole linguistica e di una serie di rinvenimenti archeologici, viene identificata con i Latini. Ne fa fede l'improvvisa comparsa di sepolcri che utilizzavano il rito dell'incenerazione, laddove invece i sepolcri di epoche precedenti utilizzavano esclusivamente il rito dell'inumazione. I primi sepolcri contraddistinti da questo nuovo rito sono databili attorno al X secolo a.C. e comparvero prima nella zona dei Colli Albani, a sud dell'attuale Grottaferrata, per poi diffondersi in altre parti del LatiumRoma compresa. Sulla base di queste considerazioni troverebbe riscontro la tradizione romana che indicava in questo gruppo collinare il fulcro della nazione latina.
In questa prima età del ferro, la forma di popolamento dei latini si articolava in una serie di raggruppamenti rurali autonomi, con spesso al centro un borgo fortificato (oppidum), e strettamente collegati fra di loro. Profondamente sentito era all'epoca il senso di un'origine, di un'appartenenza e di culti comuni che indusse molte di queste entità a dare vita a delle vere e proprie federazioni o leghe. Queste, pur avendo originariamente un carattere religioso, col tempo riuscirono a darsi degli ordinamenti comuni che disciplinavano la difesa del territorio, il commercio, ed altre materie di interesse generale. La Lega albense fu forse la più antica fra le federazioni del Latium Vetus ed era costituita da una trentina di centri situati sui colli Albani (populi albenses), ricordati, come è stato già segnalato, da Plinio il Vecchio. Cuore di questo ampio raggruppamento urbano era la città di Alba Longa, rasa al suolo attorno alla metà del VII secolo da Roma (al tempo di Tullio Ostilio),[11] che si sostituì ad essa nella direzione della Lega. Ancora il quarto re di RomaAnco Marzio, li vinse.[12][13][14] Alla fine di questo stesso secolo e in quello successivo, molti altri centri latini furono assorbiti nello stato romano che allora era governato da una dinastia etrusca.

Territorio del Latium vetus [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci LatiumLatium vetus e Latium adiectum.
Secondo una teoria questo popolo seguì la costa tirrenica lungo la sua discesa verso il sud-Italia insediandosi nella fascia costiera compresa fra il corso del Tevere ed il golfo di Policastro, fra le attualiCampania e Calabria. Successivamente, in epoca protostorica, i gruppi appartenenti all'etnia latina, stabilitisi nei territori meridionali sarebbero stati assorbiti da altre popolazioni. Dalle iniziali zone d'insediamento, i Latini sarebbero arretrati fino a controllare unicamente la zona del Latium Vetus (o Latium Priscum), che grosso modo era delimitato dal Tevere a nord, dai Monti Prenestini e da un breve tratto del fiume Trerus ad est, dalle propaggini settentrionali dei Monti Lepini a sud, e dal mar Tirreno ad occidente.
Altri studiosi ritengono invece che originariamente gli insediamenti latini si estendessero fra il Tevere e il basso Lazio (Pianura Pontina, corso inferiore del Liri) per poi restringersi, in epoca ancora protostorica, entro i confini del Latium Vetus.
Secondo la tradizione romana, infine, culla originaria di questo popolo fu la zona dei Colli Albani, da cui il nomen dei latini si diffuse, successivamente, nelle pianure circostanti. In ogni caso, alla vigilia della prima espansione di Roma e del suo stato, (avvenuta attorno al VI secolo a.C.), il territorio di stanziamento dei Latini si estendeva su una superficie non superiore ai 2.000 km², corrispondente a poco più della decima parte dell'attuale regione laziale.
Secondo la storiografia tradizionale uno sviluppo propriamente urbano di Roma e del Latium si era iniziato a delineare solo in epoca etrusca, e cioè fra la fine del VII secolo a.C. e la prima metà del secolo successivo. Negli ultimi tre decenni tale impostazione è stata messa in discussione dalle ricerche, dai ritrovamenti e dagli importanti contributi dottrinari di un gruppo di archeologi e storici, non solo italiani, con alla testa Andrea Carandini.
Nel 1988 venne scoperta la prima cinta muraria di Roma databile attorno al 725 a.C., mentre ancor prima erano già venute alla luce significative testimonianze, dell'VIII secolo a.C., relative alle città diPraeneste e Tibur, i due massimi centri, dopo Roma, del mondo latino, fino almeno all'assorbimento del Latium Vetus nello Stato romano.
È difficile stabilire una linea netta di demarcazione fra fenomeno urbano e protourbano, purtuttavia è evidente che già a partire dal 750 a.C. circa, alcuni centri, per struttura e dimensioni, potevano essere equiparati a delle vere e proprie città sul modello di quanto era già avvenuto in Etruria un paio di generazioni prima[15] e nel sud peninsulare con i primi stanziamenti ellenici. Questi ultimi sembrano essere addirittura posteriori a quelli etruschi o latini che quindi potrebbero essere sorti in forma autonoma, perseguendo cioè un modello di sviluppo del tutto autoctono.[16]
Dionisio di AlicarnassoStrabone e Plinio si sono soffermati, nelle loro opere, sulle comunità più antiche del Latium Vetus, molte delle quali erano già scomparse da secoli quando i tre scrittori si accinsero a descriverle. Di alcune non si riesce neppure a stabilirne esattamente l'esatta ubicazione e fra queste la stessa Albalonga, centro nevralgico della Lega Latina attorno alla prima metà del VII secolo a.C., prima cioè di venire distrutta da Roma. Di Plinio (3.68-69) ci restano due dettagliati elenchi di città, il secondo dei quali fa riferimento ai populi della foederatio albensis. Fra questi ultimi appaiono Albalonga, Cora (Cori), Manates (Tibur), Fidenates (Fidaene), Foreti (Gabii) Accienses (Aricia), Tolerus (Valmontone), ed alcuni che costituivano parte integrante della città di Roma: Velienses (Velia), Querquetulani (Celio), Munienses (Quirinale, ma secondo alcuni storici trattasi di Castrimoenium) ecc.

Supremazia etrusca e lega latina (VII-VI secolo a.C.) [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Tarquini e Lega latina.
Negli ultimi decenni del VII secolo a.C. ed ancor più nel corso del VI secolo a.C., si era andato affermando in tutto il territorio latino, in quasi tutta la Campania, ed in parte della pianura padana, la supremaziaetrusca che si protrasse fino alla fine del VI secolo a.C. e che a Roma corrispose, secondo la tradizione, agli ultimi tre re appartenenti alla dinastia dei Tarquini (Tarquinio Prisco,[17] Servo Tullio e Tarquinio il Superbo).[18] Sappiamo, inoltre, che Servio Tullio fece costruire un tempio a Diana a Roma, quale santuario federale dei Latini.[19] In questa città, sempre secondo gli storici latini e greci, il periodo monarchico etrusco ebbe termine nel 509 a.C.
Con la battaglia di Aricia (504 a.C.), i Latini, grazie anche all'appoggio di un contingente cumano, sconfissero gli Etruschi di Chiusi, che miravano a prendere il posto della spodestata dinastia dei Tarquini (o, secondo un'altra teoria, prestare loro aiuto) nella direzione del più potente centro latino della regione, Roma. Il provvidenziale intervento degli alleati latini permise a Roma di conservare gli ordinamenti repubblicani, che si era da poco dati, per altri cinque secoli, e nel contempo infranse, e per sempre, le mire espansionistiche etrusche nel Latium centro-meridionale.
Al termine della supremazia etrusca sul Latium Vetus si scatenarono cruente lotte fra Roma ed i più importanti centri della regione, Tusculum in particolare, per il controllo del territorio. Nonostante Tusculum godesse dell'appoggio della maggior parte delle città latine, Roma riuscì, con la battaglia del Lago Regillo (496 a.C.), a sconfiggere le rivali e ad imporre loro la sua egemonia, sancita, qualche anno più tardi (493 a.C.), dal Foeudus Cassianum. Questo trattato, che prese il nome dal console romano Spurio Cassio Vecellino, regolò le relazioni fra Roma e le altre città latine per oltre un secolo e mezzo, fino a quando venne sostituito da una serie di rapporti bilaterali fra l'Urbe ed i vari centri del Latium nel quadro di una politica di definitivo assorbimento della regione nello Stato romano (338 a.C.).

Colonizzazione [modifica]

Anfiteatro di Sutrium (Sutri)
Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Colonia latina e Repubblica romana.
Agli albori dell'età repubblicana iniziò anche quel grande movimento colonizzatore del popolo latino, che, spesso sotto altre forme, ma con finalità non troppo dissimili, accompagnò la missione civilizzatrice di Roma fino a tarda età imperiale. La spinta iniziale fu dovuta con ogni probabilità al sostenuto tasso d'accrescimento della popolazione del Latium Vetus in epoca etrusca, che comportò un forte surplus demografico non assorbibile in ambito regionale.
I primi centri in cui vennero dedotte colonie latine furono Cora (501 a.C.) e Signia (495 a.C.), cittadine di incerta origine. Entrambe erano poste in zona volsca, ma a ridosso delle frontiere meridionali del Latium Vetus. Seguì un anno più tardi Velitrae, di probabile fondazione volsca (494 a.C.), come Antium, la cui colonizzazione (467 a.C.) fu effimera, perché una decina d'anni più tardi tornava in possesso dei suoi precedenti abitatori. La crisi politica, economica e demografica del V secolo impedì nuovi stanziamenti fino al 416 a.C. quando venne dedotta una colonia a Labici, che però, ricordiamolo, era situata all'interno del Latium Vetus.
Particolarmente attivo fu il movimento colonizzatore nei primi due decenni del IV secolo con Vitelia (395 a.C.) seguita a breve distanza da Circei (393 a.C.); seguirono Satricum (385 a.C.), Sutrium (382 a.C.) e Nepet o Nepete (382 a.C.), queste due ultime in territorio etrusco. Anxur, nonostante fosse stata conquistata nel 406 a.C., dovette attendere molti decenni prima di accogliere una colonia (329 a.C.).
Tutte le colonie menzionate erano di diritto latino, nonostante fossero popolate anche da Romani; solo dopo l'assorbimento del Latium Vetus nello Stato romano (338 a.C.) si vennero a configurare colonie di diritto romano accanto a quelle di diritto latino (prima in ordine cronologico fu Antium, riconolonizzata nel 338 a.C.). Ricordiamo che queste ultime erano assimilabili alle città federate con la perdita della cittadinanza originaria per tutti i colonizzatori (romani o latini che fossero) ma con diritto di commerciare liberamente e contrarre matrimonio con cittadini romani.

Crisi del V secolo a.C. [modifica]

Il definitivo ritiro degli Etruschi a nord del Tevere, seguito a breve distanza dalla dura sconfitta subita nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.) ad opera dei siracusani, determinò un improvviso ripiegamento in sé stesso di questo popolo ed un abbandono della sua politica di grande potenza nel Mediterraneo centrale. La Campania etrusca cadde in potere dei Sanniti e dei loro alleati pochi decenni più tardi ed ilLatium Vetus, tassello importante della politica dei Tirreni in Italia centro-meridionale, ed esso stesso parte integrante del loro mondo da oltre un secolo, dovette affrontare una grave situazione politica esterna, oltre che interna (lotte sociali), che rischiò di comprometterne per sempre lo sviluppo, attentando alla sua stessa esistenza.
Nel corso del V secolo a.C., il Latium e le regioni limitrofe del Piceno, del Sannio e della Campania, furono sconvolte dall'espansione di alcuni popoli italici, primi fra tutti i Sanniti, gli Equi ed i Volsci. Questi ultimi costituivano una nazione fiera ed aggressiva stanziata fra i Monti Lepini ed il Liri e, fin dai primi decenni del V secolo a.C., riuscirono ad impegnare la Lega Latina e Roma, in una serie interminabile di guerre di logoramento. La roccaforte volsca di Antium fu espugnata ed occupata dai romani nel 468 a.C., ma persa una decina d'anni più tardi, mentre le colonie latine di Signia e Norba latina, sui monti Lepini, furono costrette a patire un perenne stato d'assedio.
In questi conflitti i Volsci furono spesso appoggiati dagli Equi, altro popolo estremamente bellicoso le cui sedi erano situate fra l'alto corso dell'Aniene, i Monti Ernici ed il lago Fucino, a cavallo fra le attuali regioni del Lazio e dell'Abruzzo. Gli Equi, durante alcuni anni riuscirono persino ad occupare la seconda città latina per importanza, Praeneste, spingendosi fino alle propaggini orientali dei Colli Albani, sul monte Algido (458 a.C.). Qui furono fermati, da un dittatore entrato nella leggenda: Lucio Quinzio Cincinnato. A rendere ancor più drammatico questo già fosco quadro ci pensarono i Sabini che, fra il 495 a.C.ed il 449 a.C., scesero anch'essi ripetutamente in armi contro i Latini. L'importante e potente centro etrusco di Veio infine, da sempre rivale di Roma, mantenne durante tutto il V secolo a.C. una costante pressione militare sulle frontiere settentrionali del Latium Vetus che, in almeno tre occasioni sfociò in aperto conflitto: nel 485 a.C.-475 a.C. circa, nel 438 a.C.-425 a.C. ed infine nel 405 a.C.-396 a.C., conclusosi quest'ultimo con la distruzione della città ad opera di Roma.

Con ben quattro fronti bellici quasi costantemente aperti, a nord quello etrusco, ad est quello sabino, a sud-est quello equo ed a sud quello volsco, sembrava che il popolo latino e con esso la città di Roma, dovessero perire ed uscire per sempre dalla grande storia.

Nuove conquiste [modifica]

Il forte sentimento di appartenenza ad una stessa stirpe, unitamente alla consapevolezza di poter essere travolti e sterminati dai popoli limitrofi, spinsero tuttavia i Latini a trovare le forze per liberare la propria terra dagli invasori. Nel 431 a.C. con la celebre battaglia del Monte Algido, gli Equi vennero ricacciati dal Latium Priscum; nel 426 a.C. fu la volta di Fidenae, città alleata di Veio, espugnata e distrutta da un esercito romano. L'appoggio degli Ernici, che fin dal 486 a.C. avevano aderito al Foedus Cassianum, permise a Roma ed alla Lega Latina, nell'anno 406 a.C., la realizzazione di un'impresa epica: la conquista della volsca Anxur, situata ad oltre cinquanta chilometri dalle frontiere meridionali del Latium Vetus. Dieci anni più tardi (396 a.C.) grazie al genio militare di Furio Camillo, la resistenza di Veio ebbe termine, la città venne rasa al suolo ed il suo territorio incorporato nello stato romano. Con Veio cadde uno dei centri etruschi più importanti e prestigiosi dell'epoca, fulcro civilizzatore dell'intero Lazio.
Le offensive condotte dal popolo latino negli ultimi decenni del V secolo a.C. avevano fortemente ridimensionato le mire espansioniste di EtruschiSabini, Equi e Volsci sul Latium vetus. Pochi anni più tardi tuttavia, un'orda celtica che aveva valicato l'Appennino seminando terrore e distruzione al suo passo, si diresse verso Roma.

I Galli nel Lazio [modifica]

L'Italia antica nel 400 a.C..
Nel corso del V secolo a.C. alcuni popoli di origine celtica, chiamati dai Latini Galli, avevano occupato gran parte delle prealpi e della pianura padana. Nel 390 a.C. una spedizione di Galli capitanata da un certo Brenno, superato l'Appennino Tosco-Emiliano era penetrata in Etruria da dove marciò su Roma. Un esercito inviato dall'Urbe per arrestare gli invasori venne sconfitto sull'Allia, poche miglia più a nord del Tevere. A Roma donne, vecchi e bambini furono evacuati nelle città vicine mentre i difensori si rifugiarono nell'arx capitolina. Le insegne sacre furono invece inviate a Caere, importante centro etrusco alleato di Roma nell'ultimo, decisivo conflitto con Veio. La città latina, rimasta deserta, venne saccheggiata ed incendiata e solo il pagamento di un forte riscatto e la fermezza di Furio Camillo riuscirono ad allontanare l'orda che si diresse verso sud, in Apulia.
In seguito alla grave sconfitta della Battaglia del fiume Allia e al Sacco di Roma che ne seguì, i romani modificarono radicalmente l'armamentario dei soldati e le tattiche di guerra. Erano stati arroganti, rifiutando di punire gli ambasciatori (della gens Fabia) che avevano ucciso un capo senone (violando il voto di non toccare armi), invece di risolvere la diatriba tra Etruschi e Senoni; erano stati presuntuosi, i tribuni militari schierarono l'esercito «senza aver scelto in anticipo uno spazio per il campo, senza aver costruito una trincea che potesse fungere da riparo in caso di ritirata, dimentichi, per non dire degli uomini, anche degli dèi, non essendosi minimamente preoccupati di trarre i dovuti auspici e di offrire sacrifici augurali»[20], ma furono capaci di trarre insegnamento dai propri errori (che quasi avevano portato alla distruzione di Roma) e di capire i limiti del loro esercito e di provvedere in merito.

Guerre civili [modifica]

L'invio delle sacre vestimenta a Caere, e non in un'altra città latina, nel corso dell'incursione galla, può essere interpretato in vario modo ma certo è che nel 386 a.C. Praeneste denunciò il Foedus Cassianum sostenendo apertamente prima i Volsci poi gli Equi che, con i Falisci e gli etruschi di Tarquinia si levarono nuovamente in armi contro Roma. Anche Tusculum, pur non partecipando direttamente alla contesa, permise che un nutrito gruppo di suoi volontari si integrasse nell'esercito Praenestino. I tempi della solidarietà latina sembravano svaniti per sempre.
Dopo un ennesimo tentativo dei Volsci di penetrare in territorio romano respinto da Furio Camillo, un esercito formato da Praenestini, Equi e volontari di Tuscolo si mosse contro Roma (383 a.C.). L'Urbe era allora impegnata a soccorrere la città alleata di Sutrium, cinta d'assedio dagli Etruschi di Tarquinia e dai loro alleati Falisci. Nonostante la scarsità di forze romane presenti in città, i Praenestini vennero messi in fuga nei pressi di Porta Collina. La pace che seguì rispettò le libertà di Praeneste, ma non di Tusculum, città che venne definitivamente assorbita nello Stato romano (381 a.C.).
Fra il 362 a.C. ed il 358 a.C. la guerra divampò sulle sponde del Trerus: gli Ernici si ribellarono, e soltanto a prezzo di un notevole sforzo accompagnato da lunghe trattative diplomatiche, furono riportati all'obbedienza da Roma. Tibur, terza città latina per importanza, ne approfittò per scendere in guerra contro l'Urbe, dopo aver assoldato mercenari Galli (361 a.C.). Due nuovi conflitti, prima contro i Volsci, che vennero sconfitti (357 a.C.), e poi contro gli Etruschi di Tarquinia, obbligò Roma ad attendere ben sette lunghi anni prima di riuscire a piegare definitivamente la resistenza di Tibur, cui fu offerta una pace onorevole (354 a.C.). Nel 353 a.C. Caere passò definitivamente nella zona di influenza romana che si estese così, da quell'anno, sul miglior porto dell'Etruria meridionale. Ma ormai l'Urbe aveva perso molti dei suoi alleati latini nella lotta contro i propri nemici tradizionali: solo pochi centri relativamente popolosi (Norba e Signia in particolare), e un certo numero di nuclei minori del Latium, erano restati al suo fianco.

Un destino segnato [modifica]

Gli avvenimenti che sconvolsero il Latium nella prima metà de IV secolo e che abbiamo cercato di sintetizzare nel precedente capitolo meritano una spiegazione. Perché dopo una serie ininterrotta di vittorie combattute e vinte da Roma e dai suoi alleati della Lega negli ultimi tre decenni del V secolo a.C. esplose nella regione una vera e propria guerra civile fra Latini? Quali furono le motivazioni che spinsero tanti prestigiosi centri del Latium Vetus a rinunciare a un grande progetto collettivo di espansione in Italia centrale ed a levarsi in armi contro Roma e le città restatele fedeli?
La conquista di Veio del 396 a.C. aveva ulteriormente consolidato la posizione di assoluta supremazia che Roma godeva nella Regione. Sembrava ormai profilarsi per molte città latine il rischio di venire definitivamente assorbite dal potente Stato romano. La presa ed il saccheggio di Roma (ma non della rocca capitolina) da parte dei Galli nel 390 a.C. fu certo un evento luttuoso nella sua storia, ma si trattò di una breve parentesi e la ricostruzione della città procedette ad un ritmo così sostenuto da indurci a credere che l'incendio tramandatoci dalla storiografia antica dovette interessare solo alcune zone dell'Urbe. Un importante studioso di questo periodo ritiene che agli inizi del IV secolo a.C. la popolazione di Roma tornò con ogni probabilità ai livelli della fine dell'età monarchica (509 a.C.),[21] fissati da Tito Livio,Dionisio di Alicarnasso ed Eutropio in circa 80.000 abitanti.[22] Anche allora, agli albori della Repubblica, le città della Lega avevano cercato di liberarsi dell'ingombrante tutela di Roma, ma senza successo.
Dopo la crisi del V secolo a.C., che, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa del Latium Vetus, aveva in qualche modo ricompattato il mondo latino, Roma era tornata ad essere più potente e florida che mai. Con la conquista di Veio, come si è già rilevato, i rapporti di forza fra Roma e ed i suoi alleati vennero ulteriormente modificati a favore dell'Urbe. Le città più importanti del Latium (Praeneste e Tibur), temettero di perdere le proprie libertà e si armarono contro Roma. In loro aiuto accorsero anche altri importanti centri del Latium Vetus, fra cui Tusculum, severamente punito da Roma con la perdita delle libertà civiche. Nella prima metà del IV secolo a.C. l'Urbe fu in grado non solo di respingere con successo gli attacchi delle città latine, ma anche tutte le offensive sferrate ripetutamente contro di essa daEtruschiFalisciVolsci ed Equi. Attorno al 350 a.C., subito dopo l'ultima guerra contro Tarquinia, che permise a Roma di consolidare la sua influenza sull'Etruria meridionale e di assorbire nel suo Stato l'importante porto di Caere, il destino dei Latini appariva ormai segnato.

 [modifica]

Sul finire degli anni quaranta del IV secolo a.C. le due potenze egemoni in Italia centrale, Roma da una parte, e la Federazione sannita dall'altra, si affrontarono per il possesso della Campania settentrionale. La guerra (343 a.C.-341 a.C.), che si concluse con un nulla di fatto, permise però ai romani di inserirsi nelle contese interne di una regione ricca e popolosa e di entrare in possesso di Capua, la maggiore e più florida città campana del tempo, consegnatasi ai romani tramite l'istituto della deditio(343 a.C.). Capua era in quell'epoca al centro di una fitta rete di alleanze e di rapporti commerciali con molte città limitrofe che passarono tutte nell'orbita romana.
I Latini, preoccupati di questa nuova espansione di Roma verso Sud, decisero di passare in azione e, con l'appoggio di alcune città campane che mal sopportavano l'egemonia dell'Urbe nella loro regione, arruolarono un esercito che penetrò in Campania attraverso la valle del Trerus (340 a.C.). Le forze latino-campane vennero sconfitte nella battaglia del Vesuvio da un esercito romano[23], rafforzato, con ogni probabilità, da un contingente sannita. I superstiti furono costretti a ripiegare oltre il fiume Garigliano ma andarono incontro ad una nuova disfatta presso Trifano. Nei Campi Fenectani, in territorio appartenente al Latium Adjectum si consumò l'ultimo atto della tragedia: un esercito costituito dai Latini di PrenestaeTibur ed altri centri minori, venne interamente decimato da Romani (338 a.C.). Da quel momento le città delLatium Vetus cessarono di esistere come entità politiche autonome e la loro storia confluì, e per sempre, in quella di Roma, espressione massima di quella stessa civiltà sviluppata dal popolo latino in tanti secoli di storia.

Società [modifica]

Data l'esiguità della propria base territoriale (non superiore ai 2.000 km²), la popolazione latina non poteva, in epoca preromana, superare le 60.000 o 70.000 unità. Tale popolazione si articolava originariamente, come si è già accennato, in populi, comunità per lo più di modeste dimensioni che nell'età di Tarquinio il Superbo raggiunsero il numero di quarantasette, distribuite in diciannove o venti "distretti",[24] entità territoriali unite spesso fra di loro in federazioni. I populi fin dagli inizi dell'età del ferro, diedero vita a dei centri urbani o protourbani governati da re locali e dalle forti aristocrazie autoctone. Il potere di queste ultime, sviluppatosi a partire dall'VIII secolo a.C. non fu solo un fenomeno laziale, ma coinvolse anche l'Etruria meridionale tirrenica: originato dalla nascita della proprietà privata terriera e dalla lotta fra le aristocrazie locali per l'accaparramento fondiario si basava «...sulla dipendenza di vasti gruppi di clientes, forza-lavoro agricola e militare composta da non consanguinei e annessa alla familiaallargata...».[25] Una società aristocratica, contraddistinta da «...segni del potere sempre più vistosi e sempre più largamente attinti dallo strumentario del fasto regale orientale...»[26] si consolidò nel corso dei secoli successivi dando luogo a profonde divisioni sociali, che nella città di Roma si sarebbero protratte per buona parte dell'età repubblicana. Tale società divenne anche il motore di sviluppo di organismi statali, fra cui quello romano, che, sebbene non poggiati su basi razziali ed aperti a nuovi apporti etnici, si incentravano su un comune sistema di valori aventi originariamente, come punti di riferimento, la virtù individuale in tutte le sue manifestazioni ed una visione aristocratica della vita che permeava di sé l'intera collettività.

Religione [modifica]

Le credenze religiose del Latium arcaico erano prevalentemente legate alla natura animata (animali e piante) ed inanimata (il fuoco, l'acqua, il vento ecc.) o alle forze soprannaturali che presiedevano l'esistenza umana (la saggezza, la morte, il concepimento e la nascita ecc.). Fra gli animali erano sacri il piculus (picchio), capace di predire il futuro, il serpens o draco (serpente, oggetto di culto nel tempio di Juno a Lanuvio), l'aper (cinghiale) ed il lupus (lupo).
Il fuoco trovava una doppia incarnazione in Vesta e in Vulcanus (Vulcano), mentre la vitalità della natura selvatica era racchiusa nel Dio Faunus (Fauno). Particolare oggetto di culto erano la terra (Terra mater), il cielo (Juppiter, ovverosia Giove) e la donna giovane in grado di generare e riprodurre la stirpe (JunoGiunone, da jun di juvenis, giovane). Grande importanza avevano tutte le divinità legate all'agricoltura, e che assicuravano il sostentamento umano: Flora (la dea che presiede la fioritura del grano), Mater Matuta (la dea che protegge la maturazione del frumento), Cerere, ecc. Anche alcuni luoghi fisici, evocanti la storia del nomen latino potevano essere oggetto di culto, come Tiber (Tevere). Particolare devozione, infine, era riservata agli dei protettori del focolare e della stirpe come i Lares ed iPenates (Lari e Penati).
Statua di Giove tonante, dall'originale diLeocare, al Museo del Prado
La religione non solo condizionava la vita sociale dei Latini, ma anche quella politica. La comunanza religiosa costituiva infatti, insieme a quella linguistica, il legame più forte che univa fra di loro le tante realtà territoriali ed umane in cui si articolava, all'epoca, il Latium Vetus. Spesso la credenza negli stessi riti, divinità, luoghi di culto, spingeva gruppi di villaggi e, più tardi, di città, a costituire delle vere e proprie Federazioni o Leghe. Celebre a questo proposito fu la Lega albense, cui abbiamo fatto precedentemente accenno, raccolta attorno al santuario di Juppiter sul Mons Albanus, la quale servì successivamente da archetipo alla Lega latina.

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