domenica 27 gennaio 2013

ANNIBALE


Annibale Barca (Cartagine247 a.C. – Libyssa182 a.C.) fu un condottiero e politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante laSeconda guerra punica.
Marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi, scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in quattro battaglie principali – battaglia del Ticino (218 a.C.), battaglia della Trebbia (218 a.C.), battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.), battaglia di Canne (216 a.C.) – e in altri scontri minori.
Dopo la battaglia di Canne i Romani rifiutarono lo scontro diretto e gradualmente riconquistarono i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La Seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 204 a.C. dove fu definitivamente sconfitto nella Battaglia di Zama, nel 202 a.C.
Dopo la fine della guerra, Annibale guidò Cartagine per parecchi anni cercando di ripararne le devastazioni, fino a quando i Romani non lo forzarono all'esilio nel 195 a.C. Annibale si rifugiò quindi dal re seleucide Antioco III in Siria dove continuò a propugnare guerre contro Roma. Nel 189 a.C. Antioco III fu sconfitto dai Romani e Annibale dovette ricominciare la fuga, questa volta presso il re Prusia I in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi; era il 182 a.C.
Annibale è considerato uno dei più grandi generali della storia[2]Polibio, suo contemporaneo, lo paragonava a Publio Cornelio Scipione Africano[3]; altri lo hanno accostato ad Alessandro MagnoGiulio Cesare e Napoleone[4].

Origini familiari e gioventù [modifica]

Annibale (dal punico Hanniba'al חניבעל, Dono [o Graziadi Baal), figlio di Amilcare; fratello di Asdrubale Barca e di Magone Barca che era stato soprannominato "Barca" (da Barak che in punico significava "fulmine"), nacque nel 247 a.C. Il padre, dopo la sconfitta di Cartagine nella Prima guerra punica e dopo aver domato la rivolta dei mercenari e dei sudditi libici,[5] in rotta con il partito aristocratico, cercava la rivincita. Convinse il "Senato" cartaginese a dargli un esercito per conquistare l'Iberia che alcune fonti indicano come un dominio cartaginese perduto.[5] Cartagine fornì solo una forza relativamente ristretta e Amilcare accompagnato dal figlio Annibale, dopo avergli fatto giurare odio eterno a Roma sull'altare di Baal, intraprese nel 237 la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Gli altri due figli, Asdrubale e Magone, restarono a Cartagine. Pur con poche truppe e pochi finanziamenti, Amilcare sottomise le città iberiche scegliendo come base operativa la vecchia colonia punica di Gades, l'odierna Cadice. Egli riaprì le miniere per autofinanziarsi, riorganizzò l'esercito e iniziò la conquista.
Fornendo alla madrepatria convogli di navi cariche di metalli preziosi che aiutarono Cartagine nel pagamento dell'ingente debito di guerra con Roma, Amilcare ottenne finalmente grande popolarità in patria. Sfortunatamente rimase ucciso durante l'attraversamento di un fiume. Venne scelto come suo successore il marito di sua figlia, Asdrubale.[6] Per otto anni Asdrubale comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, edificando una nuova città (Carthago Nova – oggi Cartagena). Asdrubale, impegnato nel consolidamento delle conquiste cartaginesi in Iberia, approfittò delle relativa debolezza di Roma che doveva fronteggiare i Galli in Italia e in Provenza per strappare il riconoscimento della sovranità cartaginese a sud del fiume Ebro.[7] Asdrubale morì nel 221 a.C. pugnalato in circostanze mai veramente chiarite.[8] I soldati, a questo punto, acclamarono loro comandante all'unanimità, il giovane Annibale.[9] Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò questa scelta.[10]Annibale cominciò ad attaccare la popolazione degli Olcadi, che si trovavano a sud dell'Ebro, sottomettendo poco dopo la loro capitale Cartala (l'odierna Orgaz) e costringendoli a pagare un tributo (221 a.C.).[11] L'anno successivo (220 a.C.), dopo aver trascorso l'inverno a Nova Carthago carico di bottino, fu la volta dei Vaccei, che sottomise anch'essi riuscendo ad occupare le loro città diHermantica e poi Arbocala (identificabile forse con la moderna Zamora), dopo un lungo assedio.[12] Gli abitanti di Hermantica, in seguito, dopo essersi ricongiunti con il popolo degli Olcadi, riuscirono a convincere i Carpetani a tendere al generale cartaginese una trappola sulla via del ritorno, nei pressi del fiume Tago.[13] Annibale riuscì però a battere i loro eserciti congiunti, composti da ben 100.000 armati (principalmente Carpetani). Egli, infatti, dopo essere riuscito in un primo momento ad evitare l'imboscata che gli avevano teso presso il fiume Tago, quando le forze nemiche, a loro volta, cercarono di attraversarlo per disporsi a muovere battaglia contro i Cartaginesi, cariche di armi e bagagli, furono irrimediabilmente sconfitte e sottomesse.[14] Annibale, dopo due anni trascorsi a completare la conquista dell'Iberia a sud dell'Ebro, si sentì pronto alla guerra contro Roma.

Decise così di muovere guerra a Sagunto[15] – città alleata a Roma – con la motivazione che si trovava a sud dell'Ebro e quindi rientrava nei territori di competenza dei Cartaginesi non dei Romani e gli era stato imposto con la violenza e l'inganno dai Romani un governo-fantoccio filo-romano, che ora attaccava gli alleati dei Cartaginesi (vedi Polibio e lo storico M. Bontempelli). L'assedio durò otto mesi e terminò nel 219 a.C. con la conquista della città. Conquista agevolata da Roma che, impegnata su altri fronti, credeva di avere tempo a disposizione: "Ma, facendo ciò, i Romani sbagliarono. Li prevenne Annibale, occupando Sagunto." (Polibio) Per questo la guerra non si svolse in Spagna,avendo i Romani come base Sagunto, ma in Italia. "I Romani, avendo notizia della disgrazia occorsa a Sagunto, non stettero affatto a discutere se fare o non fare guerra, come assurdamente riferiscono alcuni scrittori" (Polibio). I Romani, invece, appena saputo dell'attacco a Sagunto, inviarono un'ambesceria a Cartagine in cui comandavano di consegnare Annibale e tutti i suoi generali o di aspettarsi un tremendo attacco.
Il senato cartaginese, ricevuta alla fine di marzo 218 a.C. un'ambasceria romana, capeggiata dal princeps del Senato Marco Fabio Buteone, non accettò le condizioni dei romani (restituzione di Sagunto e consegna di Annibale). La guerra divenne inevitabile.

Invasione dell'Italia e i primi successi (218-216 a.C.) [modifica]

Nella primavera del 218 a.C., sul finire di maggio, dopo aver lasciato il comando della Spagna centrale e meridionale al fratello Asdrubale il giovane, Annibale, iniziò la grande marcia. 90 000 fanti, 12 000 cavalieri e 37 elefanti lasciarono Carthago Nova con meta l'Italia.
Dopo aver valicato il confine del fiume Ebro, iniziarono i primi problemi. L'opposizione delle genti iberiche stanziate a nord dell'Ebro fu molto forte. Polibioscrive che Annibale "dovette combattere contro almeno quattro tribù". Gli Ilergeti, i Bargui, gli Ausetani e i Lacetani. A difendere le nuove conquisteTarragonaBarcino (l'odierna Barcellona), Gerona e tutta quella che oggi è nota come Costa Brava, Annibale lasciò il fratello Annone con 11 000 uomini. Altri uomini furono congedati e tornarono in Spagna.
Tolti dal numero i congedati, i morti in battaglia, i dispersi e i disertori, 50 000 fanti, 9 000 cavalieri e i 37 elefanti raggiunsero la colonia greca diEmporion (attuale Ampurias) ed oltrepassarono i Pirenei valicando il Colle del Perthus durante il mese di agosto. Dopo un relativamente facile attraversamento dei Pirenei, Annibale dovette scontrarsi con le tribù galliche alleate alla colonia greca di Marsiglia e – contrariamente alle aspettative del generale cartaginese – del tutto indifferenti alla situazione delle consorelle che occupavano la Pianura Padana e sentivano la pressione delle armi romane. Raggiunto il Rodano agli inizi di settembre, Annibale trovò ad aspettarlo Magilo, re dei Boi (popolazione della Gallia Cisalpina), venuto ad aiutare il generale cartaginese ad attraversare le Alpi al fine di combattere il comune nemico: Roma.
Nel frattempo il console Publio Cornelio Scipione (padre del futuro Scipione l'Africano), che aveva radunato in agosto il suo esercito a Pisa per imbarcarlo alla volta della Spagna, venne raggiunto dalla notizia che Annibale aveva varcato i Pirenei e decise di bloccarlo sul Rodano poiché, non essendo il fiume guadabile, Annibale avrebbe dovuto costruire un ponte di barche per attraversarlo col suo imponente esercito, con conseguente rallentamento nella marcia. Così il console veleggiò verso la città alleata di Massilia, l'odierna Marsiglia, alle foci del fiume.
Annibale dopo aver annullato la resistenza di alcune tribù celtiche, mandò la cavalleria numidica in avanscoperta e avvenne il primo contatto con l'esercito nemico: trecento cavalieri che pattugliavano la zona. Fu solo una scaramuccia, ma le distanze fra i due eserciti si erano ormai annullate.
Il generale cartaginese volle evitare lo scontro, poiché il suo scopo era di arrivare in Italia e fomentare la sollevazione delle popolazioni assoggettate dai romani; così dopo aver fatto passare il fiume all'esercito, elefanti compresi, puntò verso nord risalendo a fianco del corso del Rodano. (L'espediente degli zatteroni mimetizzati da terreno per far passare gli elefanti, sono invenzioni degli antichi storici Polibio e Livio, i quali, evidentemente, credevano che gli elefanti avessero paura dell'acqua e non sapessero nuotare, mentre è oggi noto a tutti l'esatto contrario). Lo storico greco Polibio (200-118 a.C. circa) scrive che Annibale arrivò col suo esercito all'altezza del fiume Isère, affluente di sinistra del Rodano, ma non aggiunge nessuna informazione circa il valico delle Alpi: probabilmente se ne era già persa la memoria o la cosa era ritenuta superflua. Se avesse risalito la val d'Isère Annibale avrebbe potuto raggiungere diversi passi, come il Moncenisio oppure il lontano colle del Piccolo San Bernardo (Cremonis iugum) che viene citato anche da Cornelio Nepote (100-31 a.C. ca.) con il nome di Saltus Graius (Nep.,Hannibal,III). Anche lo storico romano Livio (59 a.C. - 17 d.C.) cita l'Isère, ma subito dopo, come se Annibale avesse fatto una inversione, ci presenta il condottiero cartaginese presso il fiume Durance (Druentia, in latino), altro affluente di sinistra che risalendo la valle del Rodano si incontra prima dell'Isère. Dalla Durance, scrive Livio, Annibale andò "per vie agevoli" al valico delle Alpi, ma non lo nomina (anch'egli evidentemente non sa quale sia o non ritiene opportuno citarlo, trattandosi di una via forse ben nota). Livio, comunque, esclude il Piccolo San Bernardo: afferma come cosa certa che il primo popolo che Annibale incontrò dopo la discesa dalle Alpi furono i Celti Taurini, mentre se fosse disceso dal Piccolo San Bernardo avrebbe incontrato i Salassi ed altri popoli. Il Monginevro (1850 m) è uno dei passi che si possono raggiungere dalla Durance. Esso era attraversato da un antichissimo percorso che poi divenne una importante strada romana nel 121 a.C., la via Domizia.
Una più recente ricostruzione, che è compatibile con la risalita per la valle della Durance, colloca il passaggio per il Colle dell'Autaret nelle Valli di Lanzo e la discesa verso quello che è l'attuale comune di Usseglio. L'Autaret è un valico molto elevato (circa 3000 m). Una curiosità è che una frazione di Usseglio si chiama Magone (Magone era il fratello di Annibale ed è anche un cognome italiano). Era la fine di ottobre e Annibale riuscì a raggiungere la Pianura Padana poco prima dell'inverno, mantenendo quell'effetto sorpresa che voleva ottenere.
Dei sessantamila che avevano attraversato i Pirenei, quasi 50 000 tra fanti e cavalieri e tutti i 37 elefanti (di cui, secondo Polibio, solo uno in un primo momento riuscirà a sopravvivere all'inverno, per poi morire l'anno successivo durante la discesa in Etruria), riuscirono ad arrivare nella Pianura Padana. Sconfiggendo tribù montane, difficoltà del terreno e intemperie, Annibale aveva compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico. Assai dettagliata è la descrizione dell'attraversamento in Livio che cita anche un geniale metodo per spaccare le rocce che impedivano il passaggio (metodo confermato anche da Vitruvio e Plinio): Annibale riscaldò la roccia e un volta raffreddatasi la spezzò dopo averla ricoperta di aceto. Interessante la visione di un gigantesco masso sopra Malciaussia volutamente spezzato dall'uomo.
Invasione di Annibale dalle Alpi, durante la seconda guerra punica.
La sua improvvisa apparizione fra i Galli della Pianura Padana fece staccare molte tribù dalla appena stipulata alleanza con Roma. Dopo una breve sosta per lasciare riposare i soldati, Annibale si assicurò le posizioni alle spalle sottomettendo la tribù ostile dei Taurini (nei dintorni dell'odierna Torino). Quindi mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati dal console Publio Cornelio Scipione, in una scaramuccia presso Victimulae lungo il Ticino, costringendoli ad evacuare buona parte della Lombardia con azioni della sua superiore cavalleria. Nel dicembre dello stesso anno ebbe l'opportunità di mostrare la sua capacità strategica quando attaccò al fiume Trebbia (Battaglia della Trebbia) vicino Piacenza le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano), cui si erano aggiunte le legioni diTiberio Sempronio Longo. Tatticamente la battaglia anticipò quella di Canne. L'eccellente fanteria romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese, ma i romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali della cavalleria numidica e respinti verso il fiume. Dei 16.000 legionari e 20.000 alleati, si salvarono circa 10.000 uomini che ripiegarono nella colonia romana diPiacenza fondata da pochi anni (218 a.C.).
Dopo aver resa sicura la sua posizione nel nord Italia con questa battaglia, Annibale acquartierò le sue truppe per l'inverno fra i Galli, il cui zelo per la sua causa cominciò a scemare a causa dei costi del mantenimento dell'esercito punico. Nella primavera del 217 a.C. Annibale decise di trovare a sud una base di operazioni più sicura. Con le sue truppe e l'unico elefante sopravvissuto all'inverno, attraversò quindi l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno, dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso perse un occhio.Avanzò quindi in Etruria su terre più elevate, inseguito dalle armi romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sconfiggere i romani a Tuoro sul Trasimeno, nella più conosciuta Battaglia del Lago Trasimeno piombando all'improvviso dalle colline circostanti sulle truppe romane in spostamento e intrappolandole sulle spiagge e nelle acque del lago. La disfatta per i romani fu pesantissima, e nella battaglia morì anche il console Gaio Flaminio. La strada per Roma era aperta, ma solo teoricamente. Se da un lato è vero che nessun esercito si frapponeva più fra lui e Roma, d'altro canto Annibale si rendeva conto di non disporre di un esercito tecnologicamente attrezzato per un assedio della Città, prevedibilmente lungo. Fra l'altro, man mano che si addentrava in Umbria, dovette anche constatare che le popolazioni si mostravano sempre più fedeli a Roma e a lui più ostili,[16] pertanto preferì sfruttare la sua vittoria per spostarsi dal Centro al Sud Italia e lì provare a suscitare una generale rivolta contro i dominatori di Roma. Nonostante un iniziale successo, questa strategia a lungo andare fallì perché comunque la maggior parte delle città sottomesse a Roma non si rivoltarono.
Annibale sfugge al Temporeggiatore, ingannandolo sulla reale entità delle proprie forze, applicando nella notte delle torce accese sulle corna dei buoi.
Anche se controllato e infastidito da vicino dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo che sarà detto "il Temporeggiatore", riuscì parzialmente nel suo intento staccando vari popoli dall'alleanza con Roma. In un'occasione, anche se intrappolato nella pianura Campana riuscì a sfuggire con uno stratagemma e a trovare una base confortevole nelle pianure dell'Apulia, dove i Romani non osavano scendere per timore della superiore cavalleria del cartaginese.
Nella campagna del 217 a.C. Annibale non riuscì a ottenere un seguito fra le popolazioni Italiane, ma l'anno seguente ebbe l'opportunità di creare una svolta in questo atteggiamento. Un forte esercito Romano comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo eGaio Terenzio Varrone avanzò verso di lui in Apulia e accettò battaglia nei pressi di Canne (Battaglia di Canne). Ponendo al centro dello schieramento la fanteria ibero-gallica (che come previsto cedette rapidamente sotto l'urto dell'attacco frontale dei legionari) e sui due lati la fanteria pesante africana, armata in parte con armi romane catturate nelle precedenti battaglie, Annibale attirò la massa delle legioni romane in una trappola. Nel tentativo di sfondare le linee dei galli, i romani furono attaccati sui fianchi dalla fanteria pesante africana e presto, compressi in uno spazio ristretto, non poterono far valere la loro superiorità numerica e furono messi in difficoltà. Inoltre la cavalleria pesante numidica sbaragliò subito la cavalleria romano-italica, e, mentre la cavalleria leggera numidica, inseguiva i resti della cavalleria nemica, rientrò in campo alle spalle delle legioni romani già in grave difficoltà, completando l'accerchiamento[17]. Annibale riuscì quindi a circondare le legioni e a distruggerle quasi completamente. Le legioni romane, attaccate da tutte le direzioni e senza spazio di manovra, furono progressivamente distrutte, quasi 70.000 legionari caddero sul campo, 10.000 furono i prigionieri e solo 3.000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con il superstite console Varrone[18].
Le perdite di Annibale furono circa 6.000. Questa vittoria portò al suo fianco la quasi totalità delle popolazioni meridionali, mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Non avendo però ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati, non poté portare un attacco diretto a Roma nonostante questa non potesse più schierare molte truppe a sua difesa. Dovette quindi accontentarsi di dispiegare le truppe al controllo del territorio e il solo evento notevole del 216 a.C. fu la conquista di Capua, allora la seconda maggior città d'Italia. Annibale vi pose la sua nuova base.

Gli anni trascorsi nell'Italia meridionale (215-203 a.C.) [modifica]

Negli anni successivi Annibale si dovette adattare a operazioni minori, per lo più necessarie al controllo della Campania. Non riuscì a costringere i suoi nemici ad una battaglia definitiva e, anzi, dovette subire alcune leggere sconfitte. Con il passare del tempo la sua posizione nel Sud Italia divenne sempre più difficile. Le truppe affidate ai suoi subordinati non erano, in genere, capaci di operare da sole e né il governo cartaginese (che inviò solo 4.000 numidi e 48 elefanti [senza fonte]) né il suo alleato Filippo V di Macedonia (disturbato dall'azione diplomatica romana presso la Lega Etolica e Attalo I di Pergamo, avversari del re macedone) operarono per portargli un aiuto concreto e sufficiente. La conquista di Roma diventava sempre più remota e difficile.
Nel 212 a.C. Annibale ottenne un grande successo conquistando la colonia greca di Taranto, in prospettiva utile porto per ricevere aiuti via mare dall'Africa. Per contro, non riuscendo a respingere le armi romane in Campania, perse il controllo della regione. L'anno successivo Annibale ritornò in Campania con tutto l'esercito e con una marcia attraverso il Sannio arrivò a tre chilometri da Roma causando il terrore della popolazione, ma pochissimi danni e ancora meno pericolo.
Ma nello stesso anno Capua cadde nuovamente in mani romane. E Roma dimostrò come trattava le popolazioni che tradivano. Questo rese più difficile la situazione del cartaginese, facendo vacillare la decisione nelle altre popolazioni vicine. Nel 210 a.C. sconfisse un esercito proconsolare a Herdoniae (oggi Ordona) in Apulia e nel 208 a.C. distrusse una forza romana che assediava Locri. Però Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. 30.000 abitanti furono venduti come schiavi.
Era il 209 a.C. e Roma con 10 delle sue 25 legioni attive (circa 200.000 uomini mobilitati) continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania.
Nel 207 a.C. Annibale ritornò in Apulia, dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello Asdrubale. Per sua sfortuna, Asdrubale fu sconfitto nella Battaglia del Metauro dalle legioni di Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone e morì. Annibale dovette ritirarsi nelle montagne del Brutium (Calabria) dove riuscì a resistere per alcuni anni. Il fratello superstite Magone venne fermato in Liguria 205 a.C. – 203 a.C. e i negoziati con Filippo V di Macedonia non gli portarono nessun vantaggio a causa dell'interferenza romana. L'ultima speranza di successo in Italia ebbe così termine e Annibale ritornò in Africa, quindici anni dopo avere attraversato le Alpi.
Quindici anni in cui aveva scorrazzato libero per tutto il territorio italiano, infliggendo ai romani sul loro stesso territorio sconfitte pesantissime e battendo i consoli mandati contro di lui, con quasi nessuna defezione nel suo variegato esercito. Solo un grande generale poteva attuare un'impresa simile, per molti secoli ineguagliataNel 204 a.C. Publio Cornelio Scipione Africano, che l'anno prima era stato eletto console, portò la guerra in Africa con 25.000 uomini. Scipione si alleò con Massinissa, re numida avversario dell'altro re numida, Siface, che lo aveva cacciato dal regno con l'aiuto dei cartaginesi, e ne poté usare la cavalleria, molto più adatta alle nuove tattiche belliche di quella romana. Cartagine cercò di intavolare trattative di pace ma Scipione sconfisse le forze di Asdrubale e Siface in due consecutive battaglie.
Nel 203 a.C. Annibale e il fratello Magone, che aveva appena subito una sconfitta a Milano e che morì nel viaggio di ritorno, furono richiamati in patria e il condottiero, dopo aver lasciato un ricordo della sua spedizione su tavole di bronzo nel tempio di Giunone di Capo Lacinio, fece vela per l'Africa. Il suo arrivo a Cartagine ridiede il vantaggio al partito della guerra che lo pose alla testa delle truppe, un misto di milizie cittadine e dei suoi veterani e mercenari.
Nel 202 a.C., dopo un'inutile conferenza di pace con Scipione, si scontrò con lui nella Battaglia di Zama. Scipione ormai conosceva le tattiche dell'avversario e le usò contro il loro inventore. La cavalleria numidica di Massinissa sbaragliò quella cartaginese. Inoltre le disaggregate forze cartaginesi non poterono reggere al confronto con l'esercito romano, ottimamente addestrato e disciplinato. La sconfitta di Annibale a Zama pose fine alla residua resistenza di Cartagine e alla Seconda guerra punica.Annibale aveva appena 46 anni e dimostrò di saper essere non solo un condottiero, ma anche un uomo di stato. Dopo un periodo di oscuramento politico, nel 195 a.C. tornò al potere come suffeta (capo del governo). Il titolo era diventato abbastanza insignificante, ma Annibale gli ridiede potere e prestigio.
L'economia cartaginese, pur se deprivata degli introiti del commercio, stava riprendendo vigore con un'agricoltura specializzata. Annibale tentò una riforma dello Stato per incrementare le entrate fiscali, ma l'oligarchia, sempre gelosa di lui, tanto da accusarlo di aver tradito gli interessi di Cartagine quando era in Italia, evitando di conquistare Roma quando ne aveva avuto la possibilità, lo denunciò ai sempre sospettosi romani.Annibale preferì scegliere un volontario esilio. Prima tappa fu Tiro, la città-madre di Cartagine. Dopo fu a Efeso alla corte di Antioco III, re dei Seleucidi. Questo re stava preparando una guerra a Roma. Annibale si rese subito conto che l'esercito siriaco non avrebbe potuto competere con quello romano. Consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia aggiungendo che ne avrebbe preso lui stesso il comando. Antioco III, però ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.C. Annibale fu posto al comando della flotta fenicia, ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.
Dalla corte di Antioco che sembrava pronto a consegnarlo ai Romani, Annibale fuggì per nave fino a Creta. È celebre l'aneddoto del suo inganno; i Cretesi non volevano lasciarlo più partire a meno che non lasciasse nel loro tempio principale l'oro che aveva con sé come offerta votiva. Egli allora finse di acconsentire. Consegnò un grosso quantitativo di ferro appena ricoperto da un sottile strato d'oro e trafugò invece le sue barre fondendole e nascondendole all'interno di statue di magnifica fattura che egli portava sempre con sé e che i Cretesi gli permisero di portar via. Da Creta quasi subito ritornò in Asia.
Racconta Plutarco che Annibale si spinse a cercare rifugio nel lontano regno del re Artassa, nell'attuale Armenia, dando molti consigli al proprio ospite, tra l'altro sulla costruzione di un nuova città in una zona del territorio di natura eccellente e assai amena, ma incolta e trascurata. Artassa fu ben felice di conferire l'incarico di dirigere i lavori al condottiero cartaginese, che diede prova di ottimo urbanista, contribuendo all'edificazione della nuova capitale degli Armeni, nei pressi del fiume Mezamòr, a nord del monte Ararat, che prese il nome (in onore del sovrano) di Artaxana; conosciuta per tutta l'antichità e presente a lungo nelle carte geografiche, è oggi quasi del tutto scomparsa.
In seguito Annibale tornò a volgersi ad Occidente, chiedendo rifugio a Prusia, il re di Bitinia, nell'attuale Anatolia. Qui fece costruire la seconda città dopo Artaxana, che chiamò, ancora una volta in onore del proprio ospite, Prusia – di cui ancora rimangono le vestigia dell'Acropoli – che in seguito diventerà Bursa, futura prima capitale dell'Impero Ottomano.
La parabola del Condottiero si conclude proprio in Bitinia, nei pressi di Lybissa, l'attuale Gebze, 40 km a est di Bisanzio. Secondo Nepote, un legato Bitinico informò per errore Flaminio della presenza di Annibale in Bitinia (Nep., Hannibal, XII). Ancora una volta i Romani sembrarono determinati nella sua caccia e inviarono Flaminio per chiedere la sua consegna. Prusia accettò di consegnarlo loro, ma Annibale scelse di non cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato in un anello.
Curioso (ma non si sa quanto veritiero) a questo punto l'oracolo che, in giovane età, lo aveva sempre convinto che sarebbe morto in Libia, a Cartagine e che citava testualmente: "Una zolla libyssa (libica) ricoprirà le tue ossa". Immaginiamo quale fosse il suo stupore quando apprese il nome di quella lontana località in cui si era rifugiato. Le sue ultime parole si dice fossero: "Poiché i Romani non hanno tempo di aspettare la morte di un vecchio, vediamo di fare loro questo favore". L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.C. ma, come sembra potersi dedurre da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.C., lo stesso anno della morte del suo vincitore: Scipione l'Africano.
Gebze, più precisamente 40º 46' 57" N 29º 26' 30" E, si trova un monumento che ricorda il grande Annibale. Tale monumento fu voluto nel 1934 da Mustafa Kemal Atatürk (padre della patria turca), e realizzato dopo la sua morte.                            WIKIPEDIA.IT

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