mercoledì 7 gennaio 2015

LA MACELLERIA VEGANA

A Minneapolis la macelleria che vende carne vegana

di LUCA SCIALÒ il 23 DICEMBRE 2014
TUTTOGREEN

Volete mangiare della carne vegana al posto di quella di origine animale? Andate a fare la spesa alla prima macelleria vegana al Mondo!

Una macelleria vegana? Certo, avete letto bene. Il primo esempio è The Herbivorous Butcher, avviata da un fratello e una sorella a MinneapolisAubry e Kale Walch per ora vendono i propri prodotti al mercato ma presto apriranno un negozio vero e proprio grazie alla raccolta fondi sulla piattaforma Kickstarter. Hanno infatti superato quota 61mila dollari.
The Herbivorous Butcher vende squisite salsicce, affettati, wurstel e formaggi vegetali freschi, tutti ricchi di proteine, vitamine del gruppo B, a km zero e da agricoltura biologica. Hanno trovato così il proprio business e, allo stesso tempo dato un contributo al pianeta in termini di tutela ambientale.
Come spiegano loro entusiasti:  “Una modesta riduzione del consumo di prodotti animali, non solo può risparmiare maltrattamenti a miliardi di animali ogni anno, ma può avere un enorme impatto sull’ambiente in un momento in cui il mondo ha urgente bisogno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra per evitare cambiamenti climatici catastrofici”.
Cosa sarà possibile trovare nella loro macelleria vegetale? Dall’affettato tipo mortadella alle italian sausages, le salsicce all’italiana a base di glutine di frumento, brodo vegetale, fagioli e pomodori secchi il tutto insaporito con erbe e spezie tra cui aglio, finocchio, peperoncino rosso, origano, basilico. E poi chorizobacon, formaggi
Qui vi mostriamo qualche foto molto carina da lì estratta, così da farvi un’idea sulle prelibatezze naturali e salutari che propongono:
chorizo macelleria vegana
Mexican chorizo: il salamino spagnolo in versione vegana
Costolette vegane affumicate
Costolette vegane affumicate
Pizza al salame
Pizza al salame vegano
Mortadella
Mortadella vegana
Salsiccia alla salvia
Colazione con salsiccia alla salvia e sciroppo d’acero
Salsiccia all'italiana
Salsiccia aromatizzata all’italiana, con pomodorini secchi
Vi è venuta l’acquolina in bocca?

UNA VERGOGNA DI NOME MONSANTO

Nessun obbligo per le aziende d’indicare se un prodotto è OGM sulle etichette dei prodotti alimentari e le multinazionali come Monsanto se ne approfittano.

Forse pochi si ricordano che negli USA ormai non vige nessun obbligo di contrassegno sulle etichette alimentarie che con il referendum della California del 2012 c’è stato il via libera alla vendita di sementi e semi geneticamente modificati.
Ad approfittarsene le multinazionali Monsanto e DuPont che, dopo la vittoria legata alla Proposition 37 che chiedeva di rendere obbligatoria l’indicazione OGM sulle etichette sui prodotti alimentari, non si sono più fermate e anzi hannoa ncora più liberta grazie all’approvazione della legge HR933 – già ribattezzata da ecologisti e attivisti ‘Monsanto Protection Act’ – che di fatto liberalizza la vendita e l’utilizzo in agricoltura di OGM almeno fino al 2015, impendendo ai tribunali qualsiasi ricorso.
Si tratta chiaramente di una storia di soldi, dal momento che appare evidente che in California gli stanziamenti della lobby rappresentata dai giganti dell’agro-alimentare americano sono stati 5 volte più alti dell’opposizione, e hanno portato al risultato sperato: non è obbligatorio dare indicazioni in etichetta se un prodotto contiene ingredienti OGM o meno.
Ma in America non tutti gioiscono e aumentano i mal di pancia tra gli agricoltori e gli oppositori del colosso internazionale delle sementi biotech.
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L'OLANDA DELLE BICI SOLARI

Non poteva che chiamarsi così la prima bici elettrica ad energia solare: un tributo ad uno dei paesi leader per quanto riguarda le due ruote

Giusto così: uno dei paesi che più sfruttano la bicicletta come mezzo di locomozione, l’Olanda – dove per 16 milioni di abitanti si contano circa 18 milioni di biciclette e 30.000 km di piste – ha ideato una bici elettrica innovativa e completamente ecosostenibile: la Dutch Solar Cycle.
A idearla è stata il Laboratorio Application Solar, e nasce per dimostrare che si può generare energia solamente sfruttando la luce e le celle solari, senza intaccarne il design, funzionando anche in condizioni meteo avverse.
bici elettrica ad energia solare
Come si presenta questa bici elettrica ad energia solare
Come funziona, precisamente, questa bici elettrica ad energia solare? Grazie a pannelli integrati nelle ruote che convertono la luce in energia elettrica e ricaricano la batteria, completamente, in quattro o sei ore in base alle condizioni atmosferiche.
Per ora c’è solo un prototipo in fase di sviluppo e si punta a immetterlo in strada per giugno dell’anno prossimo e mica per un giretto qualsiasi, ma in occasione del The Sun Trip 2015, la gara ciclistica 100% solare che inviterà Guus Faes, co-fondatore di Solar Application Lab, a percorrere 8000 km da Milano a Astana, in Kazakistan. Un giro della durata di 60 giorni.
Sul mercato, invece, arriverà molto più in là. Abbiate pazienza e per ora continuate a pedalare, che fa bene al corpo e alla mente.

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LE ORIGINI ALTERNATIVE DELLA SPECIE UMANA

Una nuova parola nell’archeologia – così può essere definito il lavoro di un pool internazionale di scienziati di cui fanno parte anche specialisti russi. I ricercatori hanno letto il genoma della donna di Neanderthal proveniente della caverna di Denisovo in Altai, nella Siberia Occidentale. L’analisi genetica ha confermato che gli uomini di Neanderthal, Homo sapiens e ancora una, per ora “non-identificata” specie umana, hanno avuto antenati comuni. Finora si riteneva che specie “non si mischiavano” e, dunque, non si scambiavamo geni.
I ricercatori dell’Istituto accademico di archeologia e etnografia di Novosibirsk (Siberia), e anche loro colleghi della Germania, della Cina e degli USA, hanno estratto DNA da un frammento osseo di un piede di una donna di Neanderthal che visse circa 40000 anni fa. I resti sono stati trovati durante gli scavi nella caverna di Denisovo in Altai – nel Sud della Siberia Occidentale.

Questa caverna è diventata famosa nel 2010 dopo che vi fossero state trovate le ossa di una specie umana sconosciuta che per ora si chiama proprio così – i denisoviani. Tuttavia oltre ai denisoviani nella caverna di Altai vivevano anche le specie ben note – l’uomo di Cro-Magnon e l’uomo di Neanderthal. Complessivamente durante gli scavi nella caverna sono rinvenuti oltre 20 strati di terra appartenenti a epoche diverse.
Tuttavia il mistero principale per gli scienziati finora rimaneva l’ipotesi di un possibile accoppiamento tra le specie. Per molto tempo si riteneva che diverse specie umane erano isolate l’una dall’altra e non scambiavano geni. Tuttavia alcuni scienziati, ad esempio, Boris Maliarciuk, responsabile del laboratorio di genetica dell’Istituto accademico di problemi biologici del Nord, hanno attivamente dibattuto la cosiddetta teoria ibrida.
Hanno espresso le supposizioni che l’uomo moderno potrebbe avere come antenati più di una specie – Homo sapiens e i suoi parenti – gli uomini di Neanderthal e i denisoviani. Lo scorso autunno Maliarciuk è stato uno dei primi a scoprire le sequenze di DNA che attestavano l'”ibridizzazione” tra Homo sapiens e gli uomini di Neanderthal. Ora il pool internazionale degli scienziati che hanno decifrato genoma della donna di Neanderthal con l’impiego dell’analisi genetico – molecolare ha confermato l’incrocio tra tutte le specie che abitavano nella caverna di Denisovo.
C’è stato lo scambio di geni tra diverse specie umane, ha scritto il pool di scienziati sulla rivista “Nature”. In altre parole, i rappresentanti delle specie diverse non solo vivevano a turno nella stessa caverna per oltre diecimila anni, ma anche avevano i figli in comune. Risulta che queste specie, separandosi circa 400000 anni fa, comunque non sono diventate completamente isolate gli uni dagli altri.

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IL GOVERNO USA ASSOLDO' OLTRE 1600 NAZISTI PER CREARE BOMBE PARTICOLARI

Oltre 1600 scienziati nazisti lavorarono per il governo degli Stati Uniti preparandosi a combattere la «guerra totale» con l’Urss, e fra le armi che realizzarono ve ne era una a base di Lsd, per «portare scompiglio nell’Armata Rossa sul campo di battaglia» e «piegare le menti dei sovietici».

A rivelare l’episodio inedito della Guerra fredda è la giornalista americana Annie Jacobsen con il libro Operation Paperclip, nel quale descrive il programma segreto dell’intelligente Usa con cui vennero reclutati gli ex scienziati di Adolf Hitler. Il primo passo, nei giorni immediatamente successivi alla resa della Germania, fu la creazione da parte dell’Us Army di Camp King, un centro di detenzione nei pressi di Francoforte dove gli scienziati furono raccolti assieme alle famiglie.
Nell’arco di tre mesi vennero trasferiti negli Stati Uniti, evitando accuse e processi per la collaborazione con Hitler, in cambio dell’impegno a lavorare, nei laboratori militari e di intelligence, alla realizzazione di un nuovo tipo di armi.
Washington era convinta che entro il 1952 vi sarebbe stata una «guerra totale» contro Mosca, con l’impiego di ogni tipo di armamenti – nucleare, chimico e batteriologico – e dunque aveva bisogno degli scienziati a cui Hitler aveva affidato lo sviluppo dei gas più aggressivi, come il sarin. Fra loro c’erano Walter Schreiber, ex ministro della Sanità del Terzo Reich, e il suo ex vice Kurt Blome che aveva partecipato alla ricerca sulle armi batteriologiche.
Dai laboratori militari nacquero così sostanze per la «guerra totale», incluso un allucinogeno basato sull’Lsd, considerato una «potenziale arma» perché prometteva di «far perdere il controllo ai soldati sovietici senza essere costretti a ucciderli». La Cia, formatasi dopo la fine del conflitto, mostrò un forte interesse per l’Lsd «militarizzato» immaginandone più usi, compreso quello di adoperarlo negli interrogatori dei sovietici detenuti per «fargli perdere il controllo» e «manipolarne le menti».
Nacque così un’altra operazione top secret, «Bluebird», che ipotizzava il ricorso all’Lsd «militare» a fini di controspionaggio ovvero per «fare il lavaggio del cervello alle spie sovietiche in maniera da cancellare ogni ricordo di conversazioni con agenti americani».

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STRAGE AMERICANA NELLA SICILIA DEL'43

 A distanza di un anno dall’uscita del saggio storico “OBIETTIVO BISCARI”, che ha come sottotitolo “9-14 luglio 1943: dal ponte Dirillo all’aeroporto 504”, scritto da Stefano Pepi e Domenico Anfora, che nella prefazione il Tenente colonnello Giovanni Iacono ha definito “una pietra miliare nella ricostruzione storica della battaglia di Sicilia”; che è stato pubblicato dalla Casa Editrice Mursia; e che ha rimesso in campo il problema delle stragi di militari italiani da parte degli Americani nei primi giorni dello sbarco, i due Autori siciliani si sono messi alla ricerca delle tracce ormai perse dell’Aeroporto di Biscari a causa dell’avanzata della vegetazione spontanea e delle abbondanti precipitazioni nella provincia di Ragusa e di Catania riportando alla luce i luoghi delle stragi.

I militari italiani, che difendevano l’Aeroporto di Biscari, investiti dal fuoco dell’artiglieria dei soldati del 180° reggimento di fanteria degli Stati Uniti, non buttarono le armi né scapparono, sostenuti nella lotta ad oltranza da due batterie contraeree tedesche della Flak.Per diversi giorni i soldati americani dovettero attaccare le postazioni italiane, lasciando sul campo di battaglia un elevato numero di morti e di feriti. Il 14 Luglio 36 soldati italiani, che facevano parte della retroguardia che aveva consentito con la sua resistenza ai reparti di ritirarsi come da ordine del generale Maniscalco verso la strada Santo Pietro-Caltagirone, si arresero alla compagnia C del 180° reggimento di fanteria del capitano John T. Compton.Il capitano Compton fece fucilare subito sul posto i prigionieri italiani che si erano arresi.
Anche in contrada Ficuzza gli Americani della compagnia A del 180° reggimento di fanteria incontrarono una durissima difesa del territorio da parte degli italo-tedeschi e, quando i difensori si arresero, il sergente Horace T. West, incaricato, assieme ad altri militari americani, di scortare i prigionieri verso la città di Biscari, ordinò loro di togliersi gli abiti e le scarpe, li incolonnò e li fece camminare fino al torrente Ficuzza, dove li fece fuori a colpi di mitra. 37 furono i morti italiani, 4 quelli tedeschi. Si salvarono l’aviere Giuseppe Giannola e i mitraglieri Virgilio De Roit e Silvio Quaiotto, i quali denunciarono con dovizia di particolari quanto era successo.
Durante le ricerche condotte nel corso della stesura della loro opera, Stefano Pepi, Domenico Anfora e Giovanni Iacono, si sono imbattuti in una testimonianza che riportava un’altra esecuzione perpetrata sempre dagli Americani del 180° reggimento fanteria, che faceva parte della 45° divisione Americana. Supportati dallo storico di Acate, Antonio Cammarana , e dal Senatore Andrea Augello, che ha trovato i nomi di tre soldati della milizia fucilati assieme ad altri cinque, Pepi, Anfora e Iacono hanno intensificato le loro ricerche arrivando a concreti risultati.
Dalla testimonianza del signor Lo Bianco Luigi, contadino nei pressi dell’aeroporto di Biscari, che all’epoca dei fatti era un ragazzo di 15 anni, si è appurato che, nella strada tra l’aeroporto di Biscari e Caltagirone, in contrada Saracena, 8 soldati italiani, tra cui 3 camice nere appartenenti alla 19° batteria da 76/40 del 31° gruppo di stanza all’aeroporto di Biscari, furono fucilati dagli Americani. I nomi delle camice nere, ritrovati dal Senatore Andrea Augello, sono: Luigi POGGIO nato a Genova il 21.06.1905, Angelo MAISANO nato a Messina il 30.09.1891 e il Vice Capo squadra Colombo TABARRINI nato a Foligno nel 1895. Il signor Lo Bianco precisa che i militi vennero fatti allineare lungo il muro di cinta di Villa Cona e fucilati.
Pepi, Anfora e Iacono, approfondendo inoltre la lettura dei verbali della Corte Marziale Americana riguardanti i procedimenti del sergente West e del Capitano Compton, sono risaliti alla testimonianza del reverendo LT Colonnello William E. King , colui che denunciò per primo le stragi di Biscari al Comando americano. Dichiara il reverendo LT Colonnello King: “ Alle 13 .00 del 15 Luglio 1943, mentre mi stavo recando al posto di Comando del 180° Reggimento di fanteria, a circa 2 Km a sud di Caltagirone , sul punto di coordinate 457454, ho osservato una fila di corpi stesi vicino al ciglio della strada principale in un piccolo vicolo, che confluisce sulla strada principale da est”. Il reverendo King continua con queste parole: “Quando tornai dalla linea del fronte, mi fermai nel posto già citato e osservai con attenzione i corpi che avevo visto andando al fronte. C’erano 8 corpi di Italiani che erano stesi in fila, 6 a faccia in giù e 2 a faccia in su. Erano stati fucilati esattamente nello stesso modo di quelli osservati a sud dell’Aeroporto di Biscari, tranne che questi non erano stati fucilati alla testa e che parecchi corpi avevano più di una ferita alla schiena e al petto”. La descrizione minuziosa del luogo fatta dal Reverendo King e le coordinate contenute nel verbale inquadrano la scena di questo crimine in un incrocio della via Giombattista Fanales ,angolo strada Aeroporto di Biscari- Caltagirone.
La differenza tra i corpi notati dal cappellano, LT Colonnello King, e quelli riportati dal sig. Lo Bianco è minima: il Colonnello King parla di 8 corpi, il sig. Lo Bianco dichiara che i corpi sono 7; e che le località indicate sono molto vicine, lungo la strada Aeroporto di Biscari-Caltagirone, per cui potrebbe trattarsi dello stesso episodio, anche se non si può escludere che si tratti di 2 fucilazioni diverse. A questo punto potrebbe trovare convalida la testimonianza resa al dottor Michele Sinatra, ex direttore amministrativo dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, nativo di Caltagirone e vissuto fin da bambino presso l’aeroporto di Biscari, dal signor Mineo Gesualdo, oggi defunto, che sosteneva che i fucilati della Milizia sopraindicati si trovavano insieme a 5 civili che vestivano di nero a causa di un lutto familiare, in contrada Saracena. Su questa ultima testimonianza la ricerca di riscontri è alle battute finali.

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domenica 4 gennaio 2015

LA CAUSA DELLE ERUZIONI SOLARI

l processo fisico responsabile delle espulsioni di massa coronale, le gigantesche eruzioni di materia dalla corona del Sole, è governato da un particolare flusso del campo magnetico locale che libera improvvisamente un'enorme quantità di energia. È il risultato di uno studio pubblicato su “Nature” da Tahar Amari dell'Ecole Polytechnique del CNRS francese e colleghi. Le nuove informazioni, in grado di caratterizzare meglio rispetto al passato questi fenomeni solari, potrebbero migliorare la previsione dei fenomeni più energetici, che influiscono sul corretto funzionamento del satelliti in orbita intorno alla Terra e sulla generazione di energia elettrica sul nostro pianeta.

La corona è lo strato più esterno dell'atmosfera del Sole. Uno dei processi fisici più caratteristici di questo strato è il getto di massa coronale, un gigantesco fenomeno eruttivo durante il quale vengono espulsi elettroni e protoni, oltre a piccole quantità di altri elementi come elio, ossigeno e ferro, trascinati da un intenso campo magnetico.

Il motore delle eruzioni sull'atmosfera del Sole
Una suggestiva immagine di un'espulsione di massa coronale: l'immagine della Terra aggiunta in digitale esemplifica le dimensioni del fenomeno (Tahar Amari, Centre de physique théorique, CNRS, Ecole Polytechnique)
Ma qual è il meccanismo fisico che governa le espulsioni di massa coronali? Questa domanda è rimasta finora senza risposta, anche se sono stati elaborati due modelli teorici differenti. In entrambi sono coinvolti il flusso di campo magnetico locale, che si avvolge a elica, assumendo una particolare forma simile a quella di una corda attorcigliata (twisted rope), e un peculiare fenomeno che si verifica quando sono presenti contemporaneamente due campi magnetici che puntano in direzioni opposte: la riconnessione magnetica. Si tratta di un complesso fenomeno che si verifica nei plasmi, cioè nei gas fortemente ionizzati posti in condizioni di temperatura molto elevata, in cui un riarrangiamento delle linee di campo magnetico determina un improvviso rilascio di energia.

Nel primo modello, un flusso magnetico elicoidale si trova inizialmente in equilibrio; quando questo equilibrio si rompe, la successiva riconnessione alimenta l'espulsione di massa coronale. Nel secondo modello, lo stesso tipo di flusso non è presente inizialmente, ma si forma come risultato di una riconnessione. 

Il motore delle eruzioni sull'atmosfera del Sole
Un'immagine dei flussi di campo magnetico della corona modellizzati nello studio (Tahar Amari, Centre de physique théorique, CNRS, Ecole Polytechnique)
Studiando una regione attiva, cioè un'area in cui il campo magnetico solare è particolarmente intenso, con il Solar Optical Telescope (SOT) a bordo del satellite Hinode della NASA, per un periodo di quattro giorni a dicembre 2006, Amari e colleghi hanno dimostrato che il primo modello è quello più probabile.

Secondo gli autori, fino a quattro giorni prima dell'eruzione, l'energia magnetica è bassa, ma aumenta con il tempo, e un giorno prima dell'eruzione si forma il flusso elicoidale, che cresce sempre di più, e viene poi costretto a estendersi verso l'alto quando l'energia magnetica è troppo elevata. La successiva riconnessione determina un'espulsione di massa.

MATERIA OSCURA AL CENTRO DELLA VIA LATTEA

Finora, la materia oscura è sfuggita a qualunque tentativo di rivelazione. Gli astronomi sanno che questa materia invisibile domina il nostro universo e attrae gravitazionalmente la materia ordinaria, ma non sanno in che modo ciò avvenga. Fin dal 2009, tuttavia, una radiazione gamma sospetta proveniente dal centro della Via Lattea, dove si ritiene che la materia oscura sia particolarmente densa, ha incuriosito i ricercatori. Alcuni si chiedono se questa radiazione possa essere stata emessa in esplosioni causate da particelle di materia oscura che collidono tra loro. Ora un nuovo segnale di raggi gamma, in combinazione con quelli già rivelati, offre un'ulteriore prova che l'origine potrebbe proprio essere la materia oscura.

Una possibile spiegazione della materia oscura è che sia costituita da ipotetiche “particelle massicce debolmente interagenti” (weakly interacting massive particles) o WIMP, che possono essere sia di materia sia di antimateria. Così, quando due di esse collidono, possono annichilarsi, come fanno normalmente particelle di materia e di antimateria. Questi processi creerebbero lampi di raggi gamma, quelli che gli astronomi osservano in abbondanza al centro della nostra galassia con Fermi, il telescopio spaziale a raggi gamma della NASA.

Le esplosioni potrebbero anche creare particelle di raggi cosmici, composti da elettroni e positroni (le antiparticelle degli elettroni) ad alta energia che si allontanerebbero ad alta energia dal nucleo della Via Lattea, collidendo saltuariamente con particelle di luce stellare, e comunicando loro una spinta che le porterebbe nella porzione gamma dello spettro elettromagnetico.

Per la prima volta, i ricercatori hanno rivelato la luce dotata di caratteristiche che sono in accordo con le previsioni per questo secondo processo, chiamato effetto Compton inverso, che produrrebbe raggi gamma in grado di diffondersi in tutto lo spazio e presentarsi in un differente intervallo di energie rispetto a quelli rilasciati direttamente per effetto dell'annichilazione della materia oscura.

Nuove prove della materia oscura al centro della Via Lattea
Il telescopio spaziale Fermi della NASA ha rivelato una sovrabbondanza di segnali gamma provenienti dal centro della Via Lattea: nell'immagine, la massima attività è nella zona rossa al centro (T. Linden, Univ. of Chicago)
“Appare abbastanza chiaro dal loro lavoro che è presente una componente di raggi gamma dovuta all'effetto Compton inverso”, ha spiegato Dan Hooper, astrofisico del Fermi National Accelerator Laboratory, non coinvolto nello studio, ma che ha sostenuto fin dalla prima ora un possibile segnale di materia oscura nei dati del telescopio Fermi. “Questo tipo di componente potrebbe derivare dalla stessa materia oscura che costituisce il segnale primario di raggi gamma di cui abbiamo parlato in tutti questi anni”. 

I ricercatori dell'Università della California a Irvine Anna Kwa e Kevork Abazajian hanno presentato un nuovo studio il 23 ottobre al 5° Simposio internazionale Fermi tenutosi a Nagoya, in Giappone, e l'hanno proposto per la pubblicazione sulle “Physical Review Letters”.

“Nessuno di questi intriganti segnali gamma è una 'pistola fumante' della materia oscura. Altri processi astrofisici, quali le stelle in rapida rotazione chiamate pulsar, possono produrre entrambi i tipi di segnali. È possibile produrre anche altri modelli in grado di spiegare tutto questo in termini di processi astrofisici”, ha sottolineato Abazajian. “Ma la spiegazione basata sulla materia oscura è la più semplice, e le prove a favore si stanno accumulando”.

I ricercatori del gruppo del telescopio Fermi sono sempre stati cauti nel trarre conclusioni sulla materia oscura dai loro dati. Eppure, al simposio della settimana scorsa, il gruppo ha presentato la propria analisi dei raggi gamma, concludendo che sebbene diverse ipotesi siano compatibili con i dati, il migliore accordo si ottiene con quella della materia oscura. “È una grande notizia, perché è la prima volta che hanno riconosciuto questo fatto”, ha spiegato Abazajian. 

Nuove prove della materia oscura al centro della Via Lattea
Rappresentazione artistica del telescopio spaziale Fermi della NASA (Cortesia NASA)
Simona Murgia, astrofisica dell'Università della California a Irvine, membro del gruppo di analisi del nucleo galattico della collaborazione Fermi, ha presentato i risultati del gruppo. Murgia dice che la complessità del centro galattico rende difficile sapere con sicurezza da dove derivi l'eccesso di raggi gamma e se la radiazione possa originarsi da sorgenti ordinarie presenti sullo sfondo. 

“È una conclusione molto interessante”, ha detto Murgia a proposito dell'analisi di Abazajian. “Tuttavia la rivelazione del surplus di segnali in questa regione del cielo è complicata dalla nostra incompleta comprensione del background”.

La spiegazione in termini di materia oscura sarebbe più probabile se gli astronomi potessero trovare simili prove dell'annichilazione in altre galassie, per esempio nelle decine di galassie nane che orbitano intorno alla Via Lattea. “Un'affermazione straordinaria richiede il supporto di prove straordinarie, e ritengo che l'annuncio convincente della scoperta richieda un segnale simile proveniente da un'altra regione di spazio, o il risultato di un esperimento non astrofisico, oltre a quello relativo al centro della galassia”, ha spiegato Tracy Slatyer, astrofisico del Massachusetts Institute of Technology, che ha studiato i dati di Fermi relativi al centro della Via Lattea.

Gli esperimenti non astrofisici comprendono alcuni dei cosiddetti esperimenti di rivelazione diretta sulla Terra, che hanno l'obiettivo di catturare le WIMP nelle occasioni estremamente rare in cui collidono con atomi di materia ordinaria. Finora, tuttavia, nessuno di questi esperimenti ha trovato alcuna evidenza della materia oscura; invece, hanno via via ridotto il novero dei possibili tipi di WIMP che potrebbero esistere.

Nemmeno esperimenti spaziali come AMS (Alpha Magnetic Spectrometer) in orbita sulla Stazione spaziale internazionale, che rivela i raggi cosmici, sono riusciti a trovare prove convincenti della materia oscura. In effetti, i risultati di AMS sembrano in conflitto con le più basilari spiegazioni che legano la materia oscura alle osservazioni di Fermi. “La maggior parte delle persone sarebbe d'accordo nell'affermare che sta avvenendo qualcosa di piuttosto inatteso al centro della Via Lattea, e sarebbe incredibilmente eccitante se si rivelasse effettivamente il segnale di annichilazione della materia oscura”, ha aggiunto Christoph Weniger dell'Università di Amsterdam, un altro astrofisico che ha studiato il nucleo della Via Lattea. “Ma occorre confermare questa interpretazione trovando prima le prove in altre osservazioni indipendenti. C 'è ancora molto lavoro da fare”. 

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GLI EFFETTI DELLA MATERIA OSCURA SULLE STELLE

Buchi neri di materia oscura divorano le stelle al centro delle galassie?La materia oscura potrebbe trasformare le stelle in buchi neri al centro della nostra galassia, dicono i ricercatori. Là, si dovrebbero vedere numerose stelle dense in rapida rotazione, le pulsar, che sono abbastanza comuni in tutta la Via Lattea. Ma nonostante molte ricerche, ne è stata trovata solo una: è il cosiddetto "problema delle pulsar mancanti". 

Secondo un nuovo studio, una possibile spiegazione è che all'interno di queste stelle si sia accumulata materia oscura, provocando il collasso delle pulsar in buchi neri. (Questi buchi neri sarebbero più piccoli del buco nero supermassiccio che si pensa si annidi nel cuore della galassia.)

Buchi neri di materia oscura divorano le stelle al centro delle galassie?
Raffigurazione di una pulsar.  
L'universo sembra pieno di materia oscura invisibile, che non può essere né vista né toccata, ma che esercita comunque un'attrazione gravitazionale sulla materia normale. Gli scienziati hanno diverse idee a proposito di ciò che potrebbe costituire la materia oscura, ma nessuna è stata dimostrata. Un'importante opzione suggerisce che la materia oscura sia composta da particelle massicce debolmente interagenti (WIMP, weakly interacting massive particles ), tradizionalmente pensate come formate, ciascuna, sia da materia che da antimateria. La natura dell'antimateria è importante nella vicenda. Quando materia e antimateria si incontrano si distruggono a vicenda in potenti esplosioni, e quindi, scontrandosi, due WIMP normali si annichilerebbero.

Ma è anche possibile che la materia oscura sia presente nelle due forme distinte di materia e antimateria, proprio come la materia normale. Se questa ipotesi, detta della materia oscura asimmetrica, è vera, allora due particelle di materia oscura potrebbero non distruggersi a vicenda, né si avrebbero due particelle di antimateria oscura; invece, quando si incontrassero due particelle, una per tipo, si avrebbe la loro esplosione. 

In questo scenario, durante il big bang dovrebbe essersi creata un'abbondante quantità di particelle di entrambi i tipi di materia oscura (proprio come si pensa che si avvenuto per la materia e l'antimateria normali), ma la maggior parte di queste particelle si sarebbero distrutte l'un l'altra, e quelle che oggi restano sarebbero solo il piccolo eccesso di un tipo di materia oscura che è riuscito a evitare di essere totalmente annichilata.

Se la materia oscura è asimmetrica, si comporterebbe in modo diverso dalla versione standard delle WIMP. Per esempio, i densi centri delle stelle dovrebbero richiamare gravitazionalmente la materia oscura nelle vicinanze. Se la materia oscura è fatta di WIMP regolari, quando due WIMP si incontrano al centro di una stella si distruggerebbero a vicenda, perché sono le loro stesse controparti di antimateria. 

Ma nella versione asimmetrica della materia oscura, tutta la materia oscura oggi rimasta è fatta di uno solo dei due tipi: o materia o antimateria. Se due di queste particelle si incontrassero, non si annichilerebbero: semplicemente, nel tempo la materia oscura si accumulerebbe all'interno della stella. Alla fine, il nucleo della stella diventerebbe troppo massiccio per sostenersi e collasserebbe in un buco nero. Questo è ciò che può essere accaduto alle pulsar al centro della Via Lattea, secondo uno studio pubblicato il 3 novembre sulle “Physical Review Letters”

Lo scenario è plausibile - dice Raymond Volkas, dell'Università di Melbourne, che non ha partecipato allo studio - ma il problema delle pulsar mancanti potrebbe anche essere spiegato più banalmente con effetti stellari noti. "Ovviamente, sarebbe emozionante ottenere chiare prove astrofisiche dirette della materia oscura asimmetrica", dice Volkas. "Ma prima di credere a una spiegazione in termini di materia oscura asimmetrica, vorrei essere convinto che nessuna spiegazione standard è effettivamente raggiungibile."

Gli autori dello studio - Joseph Bramante della Università di Notre Dame e Tim Linden dell'Istituto Kavli per la fisica cosmologica dell'Università di Chicago - concordano sul fatto che è troppo presto per saltare a una conclusione che coinvolge la materia oscura. Forse, per esempio – dice Linden - le osservazioni radio del centro galattico non sono così accurate come hanno ipotizzato gli scienziati e ricerche più approfondite permetteranno di vedere le pulsar mancanti. E' anche possibile che qualche capriccio della formazione stellare abbia limitato il numero di pulsar che si sono formate al centro galattico.

Buchi neri di materia oscura divorano le stelle al centro delle galassie?
Immagine nel visibile di una galassia e la presunta distribuzione della materia oscura al suo interno. (Cortesia NASA)
La ragione per cui le pulsar vicine non sarebbero influenzate dalla materia oscura asimmetrica è che la materia oscura, di qualsiasi tipo essa sia, dovrebbe concentrarsi vicino ai nuclei delle galassie, accumulandoisi sotto la forza della sua stessa gravità. E anche lì ci vorrebbe molto tempo perché si accumuli materia oscura sufficiente a distruggere una pulsar, dato che la maggior parte delle particelle oscure attraversa le stelle senza interagire. S

olo nelle rare occasioni in cui passa molto, molto vicino a una particella normale può collidere e venire catturata. Nelle stelle normali le particelle ordinarie al loro centro non sono abbastanza dense per catturare molte particelle di materia oscura. Ma nelle pulsar superdense potrebbero accumularsene abbastanza da fare danni. "La materia oscura non può accumularsi con grande densità o rapidamente al centro di stelle normali", dice Bramante. “Ma nelle pulsar la materia oscura potrebbe accumularsi in una sfera di due metri. Poi questa sfera collassa in un buco nero e risucchia la pulsar."

Se questo scenario è corretto, ne seguirebbe che le pulsar dovrebbero vivere tanto più a lungo quanto più sono lontane dal centro galattico denso di materia oscura. Ai confini della Via Lattea, per esempio, le pulsar potrebbero vivere fino a un'età avanzata, mentre vicino al nucleo si creerebbero per essere poi rapidamente distrutte prima di poter invecchiare. 

"Nulla nell'astrofisica fa prevedere una forte correlazione tra l'età di una pulsar e la sua distanza dal centro di una galassia", dice Linden. "Si potrebbe osservare un effetto davvero stupefacente se questo scenario fosse valido." E' anche possibile, anche se poco probabile, che gli astronomi riescano a osservare il collasso di una pulsar in un buco nero e verificare la teoria. Ma una volta creato il buco nero, sarebbe quasi impossibile da rilevare: dato che la materia oscura e i buchi neri sono entrambi invisibili, i buchi neri fatti di materia oscura sarebbero doppiamente invisibili. 

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SENSAZIONI FISICHE ED EMOZIONI

Espressioni come "ho il cuore spezzato" o "sento un brivido lungo la schiena" potrebbero avere un significato letterale, poiché le nostre emozioni si riflettono sul nostro corpo, e in aree ben specifiche a seconda dell'emozione. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori finlandesi dell'Università di Tampere e della Aalto University, che sono riusciti addirittura a realizzare una mappa delle associazioni fra le parti del corpo e le emozioni collegate: scoprendo inoltre che la mappa è universale, ossia indipendente dalla cultura di appartenenza.

Numerosi studi hanno dimostrato che dal punto di vista biologico i meccanismi emozionali servono a preparare l'organismo ad affrontare le sfide incontrate nell'ambiente regolando l'attivazione differenziale del sistema nervoso cardiovascolare, muscolo-scheletrico, neuroendocrina, e autonomo. Secondo i principali modelli neuroscientifici, la presa di coscienza di questi stati emotivi sarebbe innescata proprio dalla percezione dei relativi stati corporei, in modo da permettere una risposta più adeguata  al problema posto dall'ambiente. 

Tuttavia, era ancora in dubbio se i cambiamenti corporei associati alle varie emozioni fossero sufficientemente specifici da spiegare le distinte sensazioni che le contraddistinguono. Inoltre, non era chiaro quale fosse la distribuzione topografica delle sensazioni fisiche legate alle diverse emozioni. 

Una mappa delle sensazioni fisiche associate alle emozioni
L'albero della "parentela" fra le diverse emozioni costruito sulla base della comunanza fra le aree attivate. (Cortesia L. Nummenmaa et al./PNAS)
A risolvere la questione è giunto ora lo studio condotto da Lauri Nummenmaa e colleghi – che firmano un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” - nel quale hanno preso in esame 701 soggetti, in parte di cultura occidentale e in parte di cultura cinese, ai quali sono stati proposti racconti, filmati, espressioni facciali, parole emotivamente significative, chiedendo loro di indicare su due sagome di un corpo umano quali parti percepivano come più attivate e meno attivate del normale quando veniva loro presentato uno stimolo emotivo.

Le sensazioni agli arti superiori sono così risultate più importanti nelle emozioni orientate all'approccio (in senso positivo e negativo), come rabbia e felicità, mentre una sensazione di ridotta attività agli arti è una caratteristica distintiva della tristezza. Le sensazioni che coinvolgono il sistema digestivo e la regione della gola sono state trovate particolarmente marcate nel disgusto. A differenza di tutte le altre emozioni, che sono collegate a regioni specifiche, la felicità èinvece risultata associata a un miglioramento delle sensazioni in tutto il corpo.

Inoltre, le emozioni complesse (ansia, amore, depressione, disprezzo, orgoglio, vergogna, invidia) hanno mostrato una correlazione alle sensazioni corporee più debole rispetto alle cosiddette emozioni promarie (rabbia, paura, disgusto, felicità, tristezza e sorpresa), con l'eccezione di ansia e depressione, che mostravano una strettissima somiglianza con gli stati emotivi primari rispettivamente di paura e tristezza. 

Una mappa delle sensazioni fisiche associate alle emozioni
In giallo e rosso le aree percepite come più attive e in blu quelle percepite come meno attive mentre si sperimentano le diverse emozioni. (Cortesia L. Nummenmaa et al./PNAS)
Anche se alcune parti del corpo sono risultate quasi sempre coinvolte – in particolare la testa, quasi sempre più attivata del normale, sia pure in varia misura - dall'analisi complessiva delle risposte è apparso che alle diverse emozioni corrispondevano mappe corporee statisticamente ben distinguibili, che le aree coinvolte corrispondono bene ai più importanti cambiamenti fisiologici associati alle diverse emozioni, e che le mappe erano sostanzialmente la stesse sia nelle persone di cultura occidentale sia in quelle di cultura orientale.

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LA VITA SU MARTE

L'eccitazione per il recente annuncio che il rover Curiosity ha rilevato un “picco” di metano atmosferico localizzato - e durato per un paio di mesi - è perfettamente giustificata. E' infatti possibile che si tratti di un autentico indizio di vita passata o presente su Marte. O meglio, di vita all'interno di Marte.

La grande maggioranza di metano che troviamo sulla Terra (sia in aria sia in giacimenti sotterranei) è di origine biologica, chiaramente indicata dalla preferenza dei sistemi biologici per gli isotopi leggeri, per esempio per il carbonio-12 rispetto al carbonio-13. Questo metano è prodotto per metanogenesi, un processo metabolico che sembra essere limitato ai membri del dominio di organismi unicellulari chiamato Archaea.

Marte, l'acqua antica, l'idrogeno delle profondità e la vita
Un "selfie" di Curiosity ottenuto montando diverse foto fatte dal rover a se stesso. (NASA/JPL-Caltech/MSSS)
C'è più di una via chimica per la produzione del metano, ma il più ovvio è la combinazione di anidride carbonica con idrogeno molecolare, ed è proprio questa la reazione sfruttata da un gran numero di Archea metanogeni. L'idrogeno molecolare è una potente fonte di energia chimica, e anche altri organismi, come i batteri solforiduttori, lo utilizzano. Ma dove trovano l'idrogeno?

Una fonte è la compresenza di roccia e acqua. La radioattività che proviene dalle rocce che contengono uranio può scindere le molecole di acqua (processo di radiolisi), e il successivo processo geochimico di serpentinizzazione [processo geologico che in presenza di calore e acqua altera e trasforma alcuni tipi di rocce, NdR] crea in abbondanza anche idrogeno molecolare. I sistemi idrotermali attivi sui fondali oceanici, le cosiddette fumarole nere, sono un ambiente in cui l'idrogeno viene costantemente prodotto, e dove gli organismi metanogeni prosperano. 

E per quanto riguarda le profondità dei continenti, le parti più antiche della litosfera?

Le recenti scoperte in miniere sudafricane e canadesi di sacche isolate di acqua fortemente salina a straordinarie profondità – fra 1 e 2 chilometri - hanno rivelato che questi bacini hanno un'età che va dalle decine di milioni ai miliardi di anni; il record attuale è di un bacino formatosi tra 1,5 e 2,6 miliardi di anni fa. 

__img3__Luoghi come questi sono, in termini relativi, ricchi di energia chimica che la vita può sfruttare, e lo fa. Ma estrapolare da un produzione locale di idrogeno molecolare in quei bacini una produzione planetaria non era certo qualcosa per cui esaltarsi.

Un nuovo studio condotto da Lollar, Onstott, Lacrampe-Couloumé, e Ballentine e pubblicato su “Nature”, suggerisce che le zone continentali profonde (cinque chilometri) potrebbero effettivamente essere un'importante fonte di idrogeno. In particolare, la parte più antica del sottosuolo continentale risalente al Precambriano (roccia di età superiore ai 540 milioni di anni circa), potrebbe generare l'idrogeno molecolare a una velocità dalle 40 alle 250 volte maggiore di quanto si pensasse: si tratta di una produzione pari a quella associata alla litosfera marina, che è molto più giovane. Questo materiale precambriano è presente nel 70 per cento circa della superficie continentale della Terra, e potrebbe contenere più acqua di tutti i fiumi, paludi e laghi presenti in superficie.

La conclusione è che la produzione mondiale di idrogeno molecolare va rivista al rialzo e – punto critico - almeno la metà di essa proviene dall'antico e profondo sottosuolo continentale, che non appare arido e inerte ma decisamente vitale.

Il collegamento fra queste scoperte e il metano su Marte è forse, oggi, una forzatura. Ma non è irragionevole supporre che l'antico sottosuolo marziano possa somigliare all'ambiente terrestre sotterraneo di origine precambriana, dove acque indisturbate si estendono in profonde fratture, e c'è un'autentica produzione di idrogeno molecolare. 

Se vita c'è stata o c'è, deve sicuramente aver sfruttato una fonte di energia di questo tipo, e i suoi prodotti potrebbero aver trovato la strada fino alla superficie.

Se il tempo, le riserve di energia e la fortuna consentiranno a Curiosity di trovare e analizzare un altro picco di metano e i suoi rapporti isotopici, potremmo fare una valutazione critica della sua eventuale origine biochimica, disponendo di una pronta spiegazione grazie alle profondità del nostro pianeta. 

Su una scala molto più grande, è importante anche l'idea di una “abitabilità” puramente geofisica di esopianeti lontani, di biosfere controllate unicamente dal funzionamento interno di un mondo senza vita di superficie. Può essere un atto di estrema presunzione pensare che la biosfera visibile all'esterno della Terra sia un modello per la maggior parte della vita nell'universo.

Riuscire a immaginare quali possano essere le “firme” identificabili di una vita cavernicola che proviene dal profondo potrebbe indurci a prendere in considerazione mondi che altrimenti saremmo portati a ignorare. E lo stesso si dica per una migliore comprensione della generazione dell'idrogeno molecolare nella crosta planetaria, dove gli ingredienti originali di un mondo - dalla miscela di elementi alla disponibilità di nuclei radioattivi - sono ancor più legati ai ritmi cosmici della vita e della morte delle stelle.

Le tracce di metano su Marte e l'idrogeno delle profondità della Terra possono sembrare indizi tenui e indiretti, ma le loro implicazioni potrebbero essere enormi. 

Caleb Scharf è il direttore del Centro multidisciplinare di astrobiologia della Columbia University. Ha lavorato nel campo della cosmologia osservativa, dell'astronomia in raggi X e, più recentemente, dei pianeti extrasolari. E' autore di diversi libri di divulgazione, fra cui I motori della gravità. L'altra faccia dei buchi neri (Codice, Torino 2013).

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L'IPPOCAMPO

L'ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore dei ventricoli laterali , sopra il cervelletto . L'ippocampo fa parte del sistema limbico che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni.
Oltre all'ippocampo, appartengono al sistema limbico la circonvoluzione che lo ricopre (circonvoluzione para-ippocampale) , la circonvoluzione del cingolo al di sopra del cosiddetto corpo calloso e il fornice.
Tutte le componenti del sistema limbico (strettamente collegate all'ipotalamo ) regolano i comportamenti relativi ai bisogni primari per la sopravvivenza dell'individuo e della specie: il mangiare, il bere, il procurarsi cibo e le relazioni sessuali nonché, per una specie evoluta come l'uomo, l'interpretazioni dei segnali provenienti dagli altri e dall'ambiente.
Questa zona del cervello gestisce le emozioni, i sentimenti e perciò anche la nostra percezione della realtà.
Poiché l'ippocampo si occupa della funzione di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative.
Se si prova disgusto per una materia, la possibilità di apprenderla è scarsa.
Un apprendimento di base positivo (apprendimento giocoso) stimola il ritmo di trasferimento nella memoria secondaria, al contrario un atteggiamento negativo rende più difficile l'apprendimento.
Un atteggiamento positivo può nascere spontaneamente, ma può essere notevolmente incrementato stimolando la motivazione, anche l'auto-motivazione.
Come le informazioni vengono immagazzinate nell'encefalo
Si è constatato che se parti dell'encefalo vengono distrutte da un ictus, non vengono cancellate informazioni specifiche memorizzate. Non esistono cioè delle zone dove vengono memorizzati singoli dati, come in un disco fisso di un computer.
Ogni informazione è ripartita attraverso un intero complesso di cellule della memoria.Se si richiama alla memoria un dato è sufficiente presentare una piccola parte del modello (una associazione) e l'intero modello viene ricostruito.
Se diverse associazioni vengono usate per modelli simili si possono creare confusioni.
L'encefalo, in conclusione, non memorizza i dati come fossero una fotografia, ma attraverso associazioni, con un procedimento simile all'ologramma, ed è possibile, anche quando non tutti i dati vengono richiamati, ottenere comunque un'immagine intera, anche se sfocata.
Memoria a breve termine e a lungo termine 
Ci sono due meccanismi di immagazzinamento delle informazioni, uno per la memoria a breve termine (MBT) e uno per la memoria a lungo termine (MLT ). 
Nelle memoria temporanea (a breve termine) si verifica un rapido deterioramento delle informazioni, mentre la memoria a lungo termine conserva le informazioni in modo sostanzialmente stabile. 
L'informazione che arriva alla MBT, se non è oggetto di attenzione, comincia subito a cancellarsi anche se, mediante una ripetizione, può essere restaurata. 
La capacità della memoria a breve termine è quindi limitata: se un'informazione non viene ripetuta con sufficiente frequenza, scompare. Il complesso dei dati presenti in ogni istante nella memoria a breve termine viene detto cuscinetto di ripetizione . L'informazione viene conservata nel cuscinetto finché non è trasferita nella memoria a lungo termine o finché non è rimpiazzata da una nuova. 
La memoria a lungo termine si considera essere virtualmente illimitata, ma la riattivazione di un'informazione può essere impedita dall'incompletezza delle associazioni necessarie alla sua identificazione.
L'oblio
La rievocazione immediata di un'informazione può mancare perché non è stata trasmessa alla memoria a lungo termine. La rievocazione di un'informazione della memoria a lungo termine può mancare perché non ci sono sufficienti legami per metterli a fuoco.
Questa teoria spiega anche perché taluni ricordi appaiono rimossi: tali ricordi sono inaccessibili perché la loro presenza sarebbe inaccettabile per il soggetto a causa dell'ansia o dei sentimenti di colpa che potrebbero attivare . Non sono perciò scomparsi, ma il subconscio evita che le associazioni necessarie si formino.
Gli individui colpiti da amnesia non dimenticano tutto, solo degli elementi personali. Ciò avviene spesso per un trauma emotivo al quale l'amnesia permette di sfuggire. Spesso poi parte di tali ricordi riaffiora quando vengono evocati dalle giuste associazioni.
Consigli pratici
Essendo l'ippocampo deputato alla filtrazione dei stimoli da trasferire alla memoria, bisogna cercare di associare alle nozioni che si vogliono ricordare delle emozioni positive. Bisogna cercare di trovare, anche in una materia apparentemente ostica, dei motivi di interesse sia diretti, sia indiretti (per esempio dei vantaggi che tale conoscenza potrebbe fornire). Bisogna cercare motivazioni positive e, se non ci sono, crearsele con l'automotivazione. In questa fase di automotivazione si devono utilizzare tutte le tecniche di convincimento e di comunicazione di cui si dispone. Può durare anche a lungo, ma i risultati sono sorprendenti.
Se si intraprende un nuovo corso di studi, se si decide di imparare una lingua bisogna prima essere realmente convinti che la materia ci interessa e cercare di stimolare tale interesse al massimo, apprezzandone tutti gli aspetti positivi, anche marginali o indiretti. Questo processo può richiedere molto tempo e può avvenire in contemporanea allo studio.
Per migliorare l'apprendimento di una singola nozione, tenendo conto dei meccanismi citati, conviene ripeterla più volte e creare più associazioni possibile. In tal modo sarà certamente più facile richiamarla. Per un nome si possono creare associazioni tra una parte di esso e nozioni a noi note, per un numero, ad esempio una data, delle associazioni con altri numeri o semplicemente delle associazioni interne al numero stesso.

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