venerdì 31 maggio 2013

I MARSI

Roma nei secoli V e IV prima di Cristo, dopo circa 150 anni di lotte - ora ricorrendo alle armi ora stipulando trattati di pace - aveva esteso i suoi domini su tutti i popoli latini, che possiamo considerare circoscritta entro i primitivi confini del Lazio.
La politica adottata dai Romani in questa espansione era improntata alla romanizzazione delle terre e delle città sulle quali estendevano i loro domini. Essa consisteva nel lasciare alle terre sottomesse piena autonomia, considerando quelle popolazioni più come soci che come sottomessi. Con questo atteggiamento il Senato e il Popolo Romano non solo non opprimevano l'autonomia degli altri, ma davano la netta impressione di rispettarla e di garantirla. Le condizioni, possiamo dire di contropartita, richieste ai sottomessi si riducevano al divieto di stipulare trattati ed alleanze fra di loro e di stabilire qualsiasi altro rapporto con altri popoli. Inoltre dovevano contribuire con uomini e materiali al potenziamento dell'esercito di Roma. In sostanza, oggi diremmo che la politica estera e militare era riservata al Senato e al Popolo Romano, la politica interna era autonoma. Garantiva, infine, il rispetto di questi patti la presenza di presidi e di fortezze, che i Romani stabilivano in ogni città e luogo strategico dei popoli sottomessi.
Dopo il 350 a.C. Roma era una vera potenza militare e politica, naturalmente portata ad espandersi e ad essere contrastata. Difatti, venne subito a contatto con due dei popoli più forti, che le intralciarono il cammino: a Nord gli Etruschi e a Est i Sanniti. Con gli Etruschi c'erano già stati degli scontri e, ormai, la raffinata civiltà di quell'antichissimo popolo si trovava nel periodo della decadenza: tuttavia, opponeva ai Romani ancora una valida resistenza.
Molto più dura e più lunga fu la lotta con i Sanniti, che si protrasse ancora per 50 anni, fino al 290 a.C..
Durante questa guerra i popoli Marsi , di origine indoeuropea, con caratteri prevalentemente sabini, dapprima furono alleati dei Sanniti, e, trovandosi essi a confine tra il Sannio e il territorio dei Latini già conquistato dai Romani, dovettero subire il primo urto della guerra fra le due grandi potenze di allora. I Marsi si difesero in modo strenuo e già da allora si acquistarono la fama di guerrieri forti e coraggiosi, come in seguito li descriverà e li tramanderà concorde tutta la letteratura latina.
I Marsi avevano nel loro territorio città e fortezze ben munite, fra le quali Marruvio (San Benedetto), Angizia (Avezzano), Pago di VenereCerfegna (Collarmele), Pliestilia(Pescina?), Fresilia (Pescasseroli?), Opi .
Milionia, come abbiamo detto, sorgeva nei luoghi attualmente denominati Casei, Rivoli e Colle Cavallo, ed era, dal punto di vista strategico, una fortezza di capitale importanza per i Marsi e per gli alleati Sanniti : infatti, essa, per essere posta sui monti circostanti le rive dei lago Fucino dal lato Sud - Est, era un passaggio obbligato per accedere alle località settentrionali dei Sannio e poteva agevolmente contrastare i valichi di Forca Caruso e Carrito - Cocullo, uniche vie accessibili per raggiungere da Roma i Peligni ed i Subequani. Iniziate, pertanto, le ostilità tra Roma e i Sanniti, i Marsi furono attaccati subito, e furono sconfitti. Per cui fu stipulata una pace tra Roma e i Marsi. Ma le vicende di questa guerra, di capitale importanza per Roma, furono per molti anni incerte ed ingarbugliate. Effimeri patti di alleanza e di amicizia, tradimenti, imboscate, guerriglie: tutti gli eventi di una guerra di supremazia li ritroviamo nel lungo conflitto fra Roma e il Sannio. Nel 304 a.C. di nuovo ci incontriamo con i Marsi alleati con i Sanniti. Ma i Romani in quell'anno ebbero ancora vittorie strepitose, delle quali fu decisiva quella di Boiano nel cuore stesso dei Sannio (Molise).
Ci fu un'ennesima pace fra i Romani e i Sanniti. Anche gli altri popoli italici accettarono le condizioni di pace, in verità molto moderate, dettate da Roma. In quell'occasione "sulla sponda settentrionale dei lago di Fucino fu costruita ALBA, con un presidio di 6.000 uomini, specie di trincea contro i bellicosi Marsi. 
Quindi furono fondate Turano e Carseoli.
Nel frattempo i Romani prolungarono la via Valeria fino ad Alba e a Cerfegna (Collarmele).
I Marsi divennero famosi anche per aver dato il via alla Guerra Sociale, che portò il paese alla lotta tra Mario Silla. I Marsi erano famosi per le loro arti lottatorie: quasi tutti i Marsi erano gladiatori presso i Romani.

Si raccontava che quattro soldati romani equivalevano ad uno marsicano.
spazioinwind.libero.it

QUALCHE ANTICA RELIGIONE

 GRECA E ROMANA
Zeus e Giove, Giunone ed Era, Atena e Minerva. Nomi differenti per gli stessi dei olimpici: Atene e Roma hanno condiviso una religione politeistica, dominata dal carattere antropomorfico delle sue divinità che intervenivano nelle vicende dei comuni mortali.
 EGIZIA
Antichissima ed evocatrice di divinità dalle caratteristiche zoomorfe, la religione egizia attribuiva un'enorme importanza al culto dei morti e alla cura delle sepolture.
AMERINDIE
Dalla semplicità del naturalismo immanente e dello sciamanesimo, tipico delle popolazioni primitive del Nord America, ai culti articolati e misteriosi, fortemente connessi alle conoscenze di astronomia, delle civiltà precolombiane quali Aztechi, Incas e Maya.
PRIMITIVE
Il riconoscere negli elementi naturali la presenza di uno spirito e di una volontà superiori, il rito come momento di contatto con il divino, lo stregone quale messaggero e mediatore tra i due mondi: i punti cardine delle religioni primitive.
NORDICHE
Odino è il re degli dei, Jordh, la Terra, è la sua sposa. Dalla loro unione nasce Thor, dio dei lampi e dei tuoni, guerriero che difende uomini e dei da una serie di avversari mostruosi, tra cui i Giganti, abitatori del mondo esterno.
MESOPOTAMIA E RESTO DEL MONDO
Nell'antica Mesopotamia, presso Babilonesi e Sumeri, la religione, di natura politeista, svolgeva un ruolo centrale nella vita degli individui. Come testimoniano i resti della loro architettura religiosa, per la prima volta nella storia a carattere grandioso e monumentale.
SAPERE.IT

LA MICROBIOLOGIA

La microbiologia è la branca delle  delle scienze biologiche che ha per oggetto lo studio dei microrganismi, esseri viventi con dimensioni inferiori al millimetro, la cui osservazione richiede l’uso del microscopio ottico. I microrganismi possono essere eucarioti (protozoi, funghi microscopici e la maggior parte delle alghe), procarioti (alghe blu-verdi o Cianobatteri e batteri) o virus.
I microrganismi, sia autotrofi sia eterotrofi, fanno parte di una comunità chiamata ecosistema microbico, che comprende l’insieme degli organismi presenti in un determinato sistema e l’ambiente che ne favorisce la vita. Tra gli habitat più favorevoli ai microrganismi vi sono il suolo e le acque, ma essi vivono anche in ambienti molto caratteristici e limitati (microhabitat) quali quelli costituiti dai residui animali e vegetali, dagli alimenti umani, dalle superfici mucose e dell’epidermide. I microrganismi sono in grado, in condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli, di elaborare un proprio habitat (per es., molti batteri formano spore e alcuni protozoi formano cisti). Batteri, alghe, protozoi e funghi, insieme con piante e animali, svolgono un ruolo importante nei cicli biogeochimici nei quali organismi viventi, eventi geologici e reazioni chimiche contribuiscono a trasformazioni cicliche di materiali indispensabili per la vita, per es. del carbonio, dell’azoto, dello zolfo e del ferro. Il metano è un importante prodotto del metabolismo microbico anaerobico operato da un gruppo di batteri altamente specializzati, detti metanigeni, e costituisce anche il substrato per i batteri, dettimetanotrofi, aerobi obbligati, che utilizzano il metano come fonte di carbonio e di energia, ossidandolo ad anidride carbonica.
L’importanza dell’ecologia microbica risiede soprattutto nei suoi aspetti applicativi; per es., il biorisanamento di siti contaminati è un processo che utilizza sistemi microbici per la bonifica e il ripristino ambientale di suoli o di acque di falde inquinanti. Ceppi microbici ricombinanti (batteri, muffe, lieviti e alcuni cianobatteri), con nuove capacità degradative, potrebbero essere utilizzati per degradare composti chimici di sintesi, come insetticidi, erbicidi, materie plastiche, composti policlorurati o poliaromatici, chiamati nel complesso materiali xenobiotici, che tendono a persistere nell’ambiente.
La microbiologia medica e veterinaria studiano i microrganismi come agenti di malattie infettive nell’uomo e negli animali. Gli scopi della m. medica possono essere raggruppati in diverse grandi categorie: a) studio di malattie infettive, delle quali sono ancora ignoti i microrganismi responsabili, allo scopo di identificarli (studi eziologici); b) ricerche microbiologiche su casi clinici a scopo diagnostico; c) studio della diffusione dei microrganismi patogeni nell’ambiente e modalità di trasmissione (epidemiologia); d) studio dei metodi atti a impedire l’estrinsecazione delle attività patogene dei microrganismi nell’uomo e negli animali (profilassi); e) studio delle modalità con cui i microrganismi provocano malattie (patogenesi). Di particolare interesse sono gli studi sui meccanismi con cui le cellule del sistema immunocompetente e le cellule accessorie (in particolare i fagociti) sono in grado di contenere il potenziale patogeno dei microrganismi. Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° sec. si è arrivati al riconoscimento dell’eziologia della maggior parte delle malattie determinate da batteri. Studi sui virus, con l’impiego di embrioni di pollo e di colture di cellule animali in vitro, hanno portato a conoscere gli agenti eziologici di numerosissime malattie infettive di origine virale; è stato dimostrato che un notevole numero di neoplasie di animali è determinato da virus. La diagnosi microbiologica può essere eseguita mediante l’isolamento e l’identificazione del microrganismo responsabile, oppure con la ricerca degli anticorpi specifici nel siero del malato, ossia con la sierodiagnosi. Le ricerche epidemiologiche hanno per scopo lo studio della diffusione dei microrganismi patogeni nell’ambiente, delle modalità con cui vi vengono immessi e delle capacità di sopravvivenza. Esse cercano di fornire dati necessari per l’impiego di mezzi preventivi, allestiti per impedire l’impianto e la diffusione di microrganismi patogeni tra i soggetti sani sensibili, ricorrendo all’eliminazione dei microrganismi patogeni dall’ambiente o a siero- e vaccinoprofilassi dei soggetti esposti. Lo studio della patogenesi delle malattie infettive si esegue allo scopo di individuare i rapporti tra il microrganismo e l’ospite durante tutte le fasi dell’infezione per trarre conoscenze utili sia per la profilassi sia per la terapia.
Le infezioni microbiche e parassitarie che colpiscono gli animali rappresentano un notevole problema, in quanto la morbosità e la mortalità degli animali domestici e da allevamento influenzano immediatamente le scorte alimentari e quindi il benessere dell’uomo. Negli animali domestici le malattie di origine batterica, quali il carbonchio, la brucellosi, la listeriosi, sono le più comuni. L’afta epizootica, malattia acuta contagiosa degli animali (equini, suini, ovini e caprini), è causata da sette diversi sierotipi di Aphtovirus. Infezioni virali comuni negli animali sono il cimurro del cane e la leucemia felina (FeLV). La malattia virale bovina più importante dal punto di vista economico è l’infezione dovuta all’herpesvirus 1 bovino (BHV1), che può colpire il bestiame di ogni età e razza in vari apparati. Molto frequenti sono le malattie fungine: per es., l’aspergillosi, causata da Aspergillus fumigatus, è una malattia invasiva polmonare che colpisce di norma gli uccelli, ma che può infettare anche altri animali e l’uomo. Esistono inoltre malattie degenerative del sistema nervoso centrale, che colpiscono diverse specie animali, i cui agenti patogeni sono i prioni ( encefalopatia). Talvolta gli agenti eziologici possono essere trasmessi all’uomo che viene in contatto con animali malati o infetti (➔ zoonosi). La prevenzione e il controllo delle malattie infettive animali prevedono l’immunizzazione attiva artificiale (vaccinazione) di animali suscettibili all’infezione, la quarantena, la disinfezione, la distruzione o l’eliminazione degli animali infetti, il trattamento terapeutico o profilattico con agenti antimicrobici, una migliore zootecnia per diminuire lo stress e migliorare l’igiene (eliminazione di insetti vettori, migliore alimentazione, sviluppo di razze resistenti, disinfezione dei locali occupati dagli animali).
treccani.it

LA FUNZIONE UDITIVA

  L'udito rappresenta uno dei principali strumenti della comunicazione sociale e linguistica, costituisce il ramo afferente del linguaggio ed è particolarmente sviluppato per i suoni della parola. La funzione è attuata grazie a un apparato sensoriale periferico, l'orecchio, che comprende l'orecchio esterno (padiglione auricolare), l'orecchio medio (timpano e catena degli ossicini) e l'orecchio interno (coclea) e un sistema acustico centrale costituito da diverse strutture e aree del sistema nervoso.
L'orecchio è un sensibilissimo sistema di ricezione, di trasduzione e analisi delle onde di compressione e di rarefazione che si propagano attraverso il mezzo elastico aria. L'ambito di frequenze coperto da tale sistema è discretamente ampio (da 20 a 20.000 Hz), mentre risultano impressionanti sia la soglia (3 x 10-5 Pascal) che la gamma dinamica (da 20 a 130 dB SPL). Queste oscillazioni elastiche sono trasdotte da apposite cellule recettoriali localizzate nell'organo del Corti e codificate e trasmesse sotto forma di codici elettrici (potenziali d'azione) lungo il nervo acustico al sistema nervoso centrale (SNC). All'interno del SNC i neuroni uditivi estraggono l'informazione e i suoi dettagli con notevole capacità di risoluzione che può raggiungere i 3 Hz; è possibile inoltre stabilire la localizzazione della sorgente sonora utilizzando differenze temporali anche di 10 μsec
Il sistema di trasduzione
Le onde elastiche, prima della trasduzione in segnali elettrici, subiscono una serie di modificazioni meccaniche a livello dell'orecchio medio e di quello interno, allo scopo di adattare l'impedenza del segnale, di amplificarlo e di segregarne le frequenze. Il padiglione auricolare riflette e concentra le onde sonore incanalandole nel meato uditivo esterno che termina nella membrana timpanica. Le energie delle onde sonore udibili, pur essendo molto modeste, sono in grado di esercitare efficaci pressioni e trazioni sulla membrana timpanica facendola spostare in fuori e dentro. Lo spostamento del timpano si ripercuote sulla catena degli ossicini dell'orecchio medio (martello, incudine e staffa) i quali hanno una duplice funzione. Innanzitutto funzionano da adattatori di impedenza, per consentire il passaggio delle onde sonore dall'ambiente gassoso (orecchio esterno e medio) a quello liquido (orecchio interno); in secondo luogo, grazie ai particolari bracci di leva con cui lavorano, consentono una amplificazione del segnale di circa 20-30 dB, particolarmente per le medie frequenze. Grazie a questo guadagno, la maggior parte dell'energia sonora che colpisce il timpano viene trasmessa all'orecchio interno, una perdita di energia si riscontra per le frequenze basse e alte. Una compromissione della normale struttura dell'orecchio medio può causare una sordità di conduzione di cui esistono due forme molto comuni: la prima insorge in seguito a processi infiammatori (otite media) che esiterà nella immobilizzazione del timpano, la seconda è dovuta a proliferazione ossea (otosclerosi) che determina una sensibile diminuzione della mobilità degli ossicini.
Le onde sonore, amplificate nell'orecchio medio, vengono trasmesse al contenuto liquido della coclea dall'azione del piede della staffa che comunica con l'orecchio interno tramite la finestra ovale che è rivestita da una membrana flessibile. La coclea è costituita da un condotto che è avvolto a spirale per tre/quattro giri a forma di chiocciola (kokhlias) ed è suddiviso per tutta la sua lunghezza in tre compartimenti: il dotto (o scala) vestibolare, il dotto (o scala) media e il dotto (o scala) timpanica. La scala vestibolare e quella timpanica sono in comunicazione all'estremità della coclea (elicotrema) dove termina a fondo cieco la scala media, la scala vestibolare è in rapporto con l'orecchio medio attraverso la finestra rotonda. La membrana di Reissner separa la scala media dalla scala vestibolare mentre la membrana basilare la separa dalla scala timpanica. L'organo recettoriale, l'Organo del Corti, che contiene i recettori, le cellule ciliate, è localizzato tra le pareti (membrane) che dividono le scale, riposa sulla membrana basilare della scala media ed è coperto dalla membrana tectoria.
I movimenti alternati della staffa sulla finestra ovale esercitano pressioni variabili sul fluido (perilinfa) che riempie la scala vestibolare e, poiché la perilinfa è un liquido praticamente incompressibile, si determina non solo un movimento alternato della membrana della finestra rotonda ma anche delle pareti elastiche della coclea, della scala media e delle relative membrane, mettendole in oscillazione. A causa delle caratteristiche meccaniche della struttura, l'oscillazione è più marcata in prossimità del giro basale se il suono è acuto, mentre è più marcata in prossimità del giro apicale se il suono è grave. I movimenti oscillatori che si creano nella scala media e in particolare nella membrana basilare, provoca la deformazione dell'organo del Corti che rappresenta la struttura cardine per la trasduzione del segnale.
Le deformazioni dell'organo del Corti inducono attivazione o inibizione delle due popolazioni di cellule recettoriali: le cellule ciliate esterne (OHC) e le cellule ciliate interne (IHC). In entrambe i tipi cellulari l'attivazione avviene a causa della deflessione delle cilia, conseguente modificazione della loro forma e rapidissimo accorciamento (sostengono frequenze di 20.000 Hz) e comporta una variazione della polarizzazione delle cellule stesse.
In particolare, le OHC sono in grado di rispondere all'attivazione con una rapida deformazione meccanica dei corpi cellulari, sono in grado di seguire frequenze di 20.000 Hz che, con un meccanismo di retroazione, accentua il movimento della membrana tectoria e la deformazione delle IHC, il che comporta una amplificazione del segnale di circa 100 volte ovvero di 40 dB (amplificatore cocleare). Le IHC, rappresentano le vere cellule recettoriali, essendo le sole connesse sinapticamente con le fibre del nervo acustico che assicura l'accesso dell'informazione acustica trasformata in codice elettrico (potenziali d'azione) alle strutture centrali. L'attività meccanica delle cellule ciliate esterne produce anche delle oscillazioni che si propagano in maniera retrograda fino a raggiungere il timpano. Quando il timpano entra in oscillazione vengono prodotte le cosiddette 'otoemissioni', che negli ultimi anni sono state ampiamente utilizzate come metodo di screening.
La variazione della polarizzazione delle IHC induce, quindi, una variazione della frequenza di scarica del neurone sensitivo a essa connesso, aumentandola o diminuendola a seconda della direzione di deflessione delle ciglia. I neuroni sensitivi connessi alle cellule recettoriali hanno il pirenoforo nel ganglio spirale che è organizzato secondo la morfologia della coclea. Gli assoni di queste cellule formano il nervo acustico. Dato che ogni sezione della coclea è particolarmente sensibile a una determinata frequenza, tanto nel ganglio spirale che nel nervo acustico le fibre sono ordinate proprio in base alla frequenza cui rispondono (tonotopia). Dal ganglio spirale il segnale, il codice acustico, segregato per frequenze, entra nel bulbo e giunge ai nuclei cocleari dorsale e ventrale ove si attua l'analisi della successione temporale degli stimoli e l'analisi dell'intensità, nonché al nucleo olivare superiore ove si attua l'analisi delle differenze interaurali dell'intensità del suono. La stazione successiva è rappresentata dal nucleo del lemnisco laterale, dopo la decussazione a livello delle strie acustiche. Di qui il segnale raggiunge il collicolo inferiore per arrivare successivamente al talamo (corpo genicolato mediale). Dal talamo, infine, l'informazione raggiunge la corteccia uditiva primaria e le contigue aree uditive secondarie. Da notare che lungo tutte le vie e strutture acustiche la disposizione tonotopica viene mantenuta.
La specificità dei circuiti del sistema nervoso centrale assicura l'analisi dei suoni, impiegando il solo codice digitale fornito dalla frequenza di scarica dei potenziali d'azione, le fibre del nervo acustico segnalano un profilo del segnale uditivo comprendente lo spettro delle frequenze contenute, i rapporti di tempo o di fase che intercorrono tra le diverse bande e le rispettive ampiezze. Esiste una precisa relazione fra il sito della coclea innervato e la frequenza caratterista della fibra afferente (curva tonale). A livello centrale i segnali provenienti dalle due orecchie vengono combinati. Le vie uditive centrali operano una separazione delle informazioni riguardanti il tempo di arrivo dei segnali e la loro intensità, elementi binaurali utilizzati per analizzare la provenienza dei suoni nello spazio. Queste informazioni vengono trasmesse in canali paralleli alla corteccia uditiva dove si costruisce una mappa delle caratteristiche biaurali relative al tempo, alla intensità e alla frequenza dei segnali acustici. Nella corteccia uditiva aree funzionali distinte agiscono in modo da scomporre i suoni del linguaggio nei loro componenti elementari per creare la percezione della localizzazione, dell'intensità e del timbro dei suoni.
In conclusione, il sistema uditivo attua una raffinata analisi dei segnali acustici attraverso un sistema sofisticato di trasduzione meccanoelettrico e dei sistemi neurali cerebrali che confrontano i segnali provenienti dalle due orecchie. Tecnologie umane, per quanto sofisticate, non sono a oggi in grado di compiere analisi paragonabili nè per sensibilità nè per ampiezza di ambito dinamico.
treccani.it

martedì 28 maggio 2013

IL POEMA OMERICO DELL'ODISSEA

 L'Odissea (grecoὈδύσσειαOdysseia) è uno dei due grandi poemi epici greci attribuiti all'opera del poeta Omero. Narra delle vicende riguardanti l'eroeOdisseo (o Ulisse, con il nome latino), dopo la fine della Guerra di Troia, narrata nell'Iliade.
L'etimologia del nome "Odisseo" è ignota. Lo stesso Omero cerca di spiegarla nel libro XIX connettendola al verbo greco "ὀδύσσομαι", il cui significato è "essere odiato". Odisseo, quindi, sarebbe "colui che odia" (in questo caso i Proci, che approfittano della sua assenza per regnare su Itaca) oppure "colui che è odiato" (in questo caso da tutti coloro che ostacolano il suo ritorno a Itaca). L'origine del nome, però, non viene dalla Grecia ma da una regione dell'Asia Minore, la Caria. In questa regione, Odisseo era il nome di un dio marino, il quale, in seguito all'invasione delle popolazioni indoeuropee, è stato assimilato nella figura di Poseidone. Ciò, dunque, fa intuire che l'Odissea trae le sue radici in antichi racconti marinari. Il nome, in definitiva, può avere il significato di "Colui che odia ed è odiato". Il nome Odisseo presenta tuttavia assonanze interessanti con altri concetti: odos - ou che significa "viaggio" e oud-eis che significa "nessuno" (da cui la risposta di Polifemo che ai ciclopi che gli chiedono perché avesse urlato risponde che "Nessuno ha cercato di ucciderlo"). Il nome Ulisse (Ulixes in latino, Ulixe in etrusco e Oulixes in siculo), datogli da Livio Andronico nella sua traduzione dell'opera, la prima in assoluto al di fuori dal greco, significa "Irritato" ed è stato scelto dal traduttore perché era abbastanza diffuso nel mondo latino e per l'assonanza con l'originale, a differenza di Odysseùs che suonava tipicamente straniero. Altri teorici però ritengono che "Ulisse" sia un soprannome e significhi, al pari dell'etrusco Clausus da cuiClaudio, "Zoppo", e sia più antico dell'opera di Andronico, in riferimento ad una ferita alla gamba riportata da Odisseo.
L'Odissea è un poema diviso in 24 canti, ognuno dei quali indicato con una lettera dell'alfabeto greco minuscolo, per un totale di 12.110 esametri.
Il poema è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale, e viene tuttora comunemente letto in tutto il mondo sia nella versione originale che attraverso le numerose traduzioni.
L'Odissea si presenta attualmente in forma scritta, mentre in origine il poema era tramandato oralmente da abili ed esperti aedi e rapsodi. Questi ultimi recitavano i versi a memoria, mentre gli Aedi, nella narrazione, si servivano di un metro regolare chiamato "esametro dattilico" o "esametro epico". Ciascuno dei 12.110 esametri del testo originale è composto da 6 piedi; ciascun piede è alternativamente un dattilo, uno spondeo o un trocheo.
TELEMACHIA
Telemaco, il figlio di Ulisse, era ancora un bambino quando suo padre partì per la Guerra di Troia. Al momento in cui la narrazione dell'Odissea ha inizio, dieci anni dopo che la guerra stessa è terminata, Telemaco è ormai un uomo di circa vent'anni; condivide la casa paterna con la madre Penelope e, suo malgrado, con un gruppo di uomini arroganti, i proci, che intendono convincere Penelope ad accettare il fatto che la scomparsa del marito è ormai definitiva e che, di conseguenza, lei dovrebbe scegliere tra loro un nuovo marito; la donna ha promesso che lo farà solo quando avrà finito di tessere un sudario per il suocero Laerte; ma Penelope di notte disfa la tela tessuta durante il giorno.
La dea Atena, protettrice di Ulisse, in un momento in cui il dio del mare Poseidone, suo nemico giurato, si è allontanato dall'Olimpo, discute del destino dell'eroe con il re degli dei, Zeus. Quindi, assunte le sembianze di Mentore, padre dei Tafi, va da Telemaco e lo esorta a partire al più presto alla ricerca di notizie del padre. Telemaco gli offre ospitalità e insieme assistono alle gozzoviglie serali dei proci, mentre il cantastorie Femio recita per loro un poema. Penelope si lamenta del testo scelto da Femio, ovvero il "Ritorno da Troia"[1], perché le ricorda il marito scomparso, ma Telemaco si oppone alle sue lamentele.
Il mattino seguente Telemaco convoca un'assemblea dei cittadini di Itaca e chiede loro di fornirgli una nave ed un equipaggio. Sciolta l'assemblea senza aver ottenuto nulla, Telemaco è raggiunto da Atena (che stavolta ha assunto le sembianze del suo amico Mentore) che gli promette la nave e i compagni. Così, all'insaputa della madre, fa vela verso la casa di Nestore, il più venerabile dei guerrieri greci che avevano partecipato alla guerra di Troia e che aveva fatto ritorno nella sua Pilo. Da qui Telemaco, accompagnato dal figlio di Nestore, Pisistrato, si dirige via terra verso Sparta, dove incontra Menelao ed Elena che si sono alla fine riconciliati. Gli raccontano che erano riusciti a fare ritorno in Grecia dopo un lungo viaggio durante il quale erano passati anche per l'Egitto: lì, sull'isola incantata di Faro, Menelao aveva incontrato il vecchio dio del mare Proteo che gli aveva detto che Odisseo era prigioniero della misteriosa Ninfa Calipso. Telemaco viene così a conoscenza anche del destino del fratello di Menelao, Agamennone, re di Micene e capo dei greci sotto le mura di Troia, che era stato assassinato dopo il suo ritorno a casa da sua moglie Clitemnestra con la complicità dell'amante Egisto.
Intanto Odisseo, dopo svariate peripezie che dobbiamo ancora apprendere, ha trascorso appunto gli ultimi sette anni prigioniero sulla lontana isola Ogigia dove viveva la bellissima ninfa Calipso. Quest'ultima si innamorò perdutamente di Odisseo. Il messaggero degli deiErmes la convince però a lasciarlo andare, e Odisseo si costruisce a questo scopo una zattera. La zattera, dato che il dio del marePoseidone gli è nemico, fa inevitabilmente naufragio, ma egli riesce a salvarsi a nuoto toccando alla fine terra a Scheria sulla cui riva, nudo ed esausto, cade addormentato. Il mattino dopo, svegliatosi udendo delle risa di ragazze, vede la giovane Nausicaa che era andata sulla spiaggia spinta da Atena a giocare a palla con le sue ancelle. Odisseo le chiede così aiuto, ed ella lo esorta a chiedere l'ospitalitàdei suoi genitori Arete e Alcinoo, re dei Feaci. Questi lo accolgono amichevolmente senza nemmeno, dapprima, chiedergli chi egli sia. Resta parecchi giorni con Alcìnoo, partecipa ad alcune gare atletiche ed ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione di due antichi poemi.
Il primo narra di un altrimenti poco noto episodio della guerra di Troia, "La lite tra Odisseo ed Achille"; il secondo è il divertente racconto della storia d'amore tra due dèi dell'Olimpo, Ares e Afrodite. Alla fine Odisseo chiede a Demodoco di continuare ad occuparsi della guerra di Troia, e questi racconta dello stratagemma del Cavallo di Troia, episodio nel quale Odisseo aveva svolto la parte dell'indiscusso protagonista. Incapace di dominare le emozioni suscitate dall'aver rivissuto quei momenti, Odisseo finisce per rivelare la sua identità, ed inizia a narrare l'incredibile storia del suo ritorno da Troia.
Dopo aver saccheggiato la città di Ismara, nella terra dei Ciconi, lui e le dodici navi della sua flotta persero la rotta a causa di una tempesta che si abbatté su di loro. Approdarono nella terra dei lotofagi e finirono per essere catturati dal ciclope Polifemo figlio di Poseidone, riuscendo a fuggire, dopo aver subito sei gravi perdite, con lo stratagemma di accecargli l'unico occhio e uscire dalla sua grotta appendendosi al ventre delle sue pecore. Questo scatenò però la rabbia di Poseidone. Sostarono per un periodo alla reggia del signore dei venti Eolo, che diede ad Odisseo un otre di pelle che racchiudeva quasi tutti i venti, un dono che avrebbe garantito loro un rapido e sicuro ritorno a casa. I marinai, però, aprirono sconsideratamente l'otre mentre Odisseo dormiva: i venti uscirono insieme dall'otre, scatenando una tempesta che ricacciò le navi indietro da dove erano venute.
Odisseo nella grotta di Polifemo Jakob Jordaens secolo XVI Museo Puskin Mosca
Pregarono Eolo di aiutarli nuovamente, ma egli rifiutò di farlo. Rimessisi in mare finirono per approdare sulla terra dei mostruosi cannibaliLestrigoni: solo la nave di Odisseo riuscì a sfuggire al terribile destino. Nuovamente salpati, giunsero all'isola della maga Circe, che con le sue pozioni magiche trasformò in maiali molti dei marinai di Odisseo. Il dio Ermes venne quindi in soccorso di Odisseo e gli donò un infuso a base di erbe magiche, utile come antidoto contro l'effetto delle pozioni di Circe. In questo modo egli costrinse la maga a liberare i suoi compagni dall'incantesimo. Ulisse diventò poi l'amante di Circe, tanto che restò con lei sull'isola per un anno. Alla fine, i suoi uomini riuscirono a convincerlo del fatto che era giunto il momento di ripartire.
Grazie anche alle indicazioni di Circe, Odisseo e la sua ciurma attraversarono il Mar Mediterraneo e raggiunsero una baia situata all'estremo limite occidentale del mondo conosciuto, nella terra dei Cimmeri. Lì, dopo aver celebrato un sacrificio in loro onore, Odisseo invocò le ombre dei morti, allo scopo di interrogare lo spettro dell'antico indovino Tiresia sul suo futuro. Incontrò poi lo spettro di sua madre, che era morta di crepacuore durante la sua lunga assenza, ricevendo così per la prima volta notizie di quanto succedeva nella sua casa, messa in serio pericolo dall'avidità dei proci. Incontrò poi molti altri spiriti di uomini e donne illustri e famosi, tra i quali il fantasma diAgamennone (che lo mise al corrente del suo assassinio), quello di Aiace Telamonio (che si rifiutò di parlargli) e quello di Achille (che gli domandò notizie di suo figlio Neottolemo e del suo vecchio padre Peleo).
Quando tornarono all'isola di Circe questa, prima della loro nuova partenza, li mise in guardia sui pericoli che li attendevano nelle rimanenti tappe del loro viaggio. Riuscirono a fiancheggiare indenni gli scogli delle Sirene e passare in mezzo alla trappola rappresentata da Scilla, mostro dalle innumerevoli teste, e dal terribile gorgo Cariddi, approdando sull'isola Trinacria. Qui i compagni di Odisseo, ignorando gli avvertimenti ricevuti da Tiresia e Circe, catturarono e uccisero per cibarsene alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Elio. Questo sacrilegio fu duramente punito dal Dio, che, con l'aiuto diPoseidone, colpì Odisseo e i suoi compagni con un naufragio nel quale tutti, tranne Odisseo stesso, finirono annegati. L'Eroe fu spinto dai flutti sulle rive dell'isola di Calipso, che lo costrinse a restare con lei come suo amante per sette anni.
Dopo aver ascoltato con grande interesse e curiosità la sua lunga storia, i Feaci, che sono un popolo di abili navigatori, decidono di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo, mentre è profondamente addormentato, lo portano ad Itaca approdando in un luogo nascosto. Al suo risveglio la dea Atena lo trasforma in un vecchio mendicante. In questi panni si incammina verso la capanna di Eumeo, guardiano dei porci, che gli è rimasto fedele anche dopo così tanti anni. Il porcaro lo fa accomodare e gli dà da mangiare. Dopo aver cenato insieme, racconta ai suoi contadini e braccianti una falsa storia della propria vita. Dice loro di essere nativo di Creta e di aver guidato un gruppo di suoi conterranei a combattere a Troia al fianco degli altri Greci, di aver quindi trascorso sette anni alla corte del re dell'Egitto e di essere alla fine naufragato sulle coste tesprote e da lì venuto ad Itaca.
Ulisse e le sirene
Intanto Telemaco fa vela da Sparta verso casa e riesce a scampare ad un'imboscata tesagli dai proci. Dopo essere sbarcato sulla costa di Itaca, va anche lui alla capanna di Eumeo. Finalmente il padre ed il figlio si incontrano: Odisseo si rivela a Telemaco (ma non ancora ad Eumeo) ed insieme decidono di uccidere i proci. Dopo che Telemaco è tornato a palazzo per primo Odisseo, accompagnato da Eumeo, fa ritorno nella sua casa ma continua a restare travestito da mendicante. In questo modo osserva il comportamento violento e tracotante dei proci, e studia il piano per ucciderli. Incontra per primo il suo cane Argo che lo riconosce e dopo un ultimo sussulto di gioia muore felice per aver rivisto il padrone, incontra poi anche sua moglie Penelope, che non lo riconosce, e cerca di capire le sue intenzioni raccontando anche a lei di essere cretese e che un giorno sulla sua isola aveva incontrato Odisseo. Incalzato dalle ansiose domande di Penelope, dice anche che di recente in Tesprozia ha avuto notizia delle sue più recenti avventure.
La vecchia nutrice Euriclea capisce la vera identità di Odisseo quando egli si spoglia per fare un bagno, mostrando una cicatrice sulla coscia che si era procurato da bambino, ed egli la costringe a giurare di mantenere il segreto. Il giorno dopo, su suggerimento di Atena, Penelope spinge i proci ad organizzare una gara per conquistare la sua mano: si tratterà di una competizione di abilità nel tiro con l'arco ed i proci dovranno servirsi dell'arco di Odisseo, che nessuno a parte lui stesso è mai riuscito a tendere. Nessuno dei pretendenti riesce a superare la prova e a quel punto, tra l'ilarità generale, quello che è creduto un vecchio mendicante chiede di partecipare a sua volta: Odisseo naturalmente riesce a tendere l'arma e a vincere la gara, lasciando tutti stupefatti. Prima che si riprendano dalla sorpresa rivolge quindi l'arco contro i proci e, con l'aiuto di Telemaco, li uccide tutti. Odisseo e il figlio decidono poi di far giustiziare dodici delle ancelle della casa che erano state amanti dei proci e uccidono il capraio Melanzio che era stato loro complice. Adesso Odisseo può finalmente rivelarsi a Penelope: la donna esita e non riesce a credere alle sue parole, ma si convince dopo che il marito le descrive alla perfezione il letto che lui stesso aveva costruito in occasione del loro matrimonio.
Odisseo e Tiresia nel regno dei morti - Vaso greco del IV secolo a.C.
Il giorno dopo, insieme a Telemaco, va ad incontrare suo padre Laerte nella sua fattoria, ma anche il vecchio accetta la rivelazione della sua identità solo dopo che Odisseo gli ha descritto il frutteto che un tempo Laerte stesso gli aveva donato. Gli abitanti di Itaca hanno seguito Odisseo con l'intenzione di vendicare le uccisioni dei proci loro figli: quello che sembra essere il capo della folla fa notare a tutti che Odisseo è stato la causa della morte di due intere generazioni di uomini ad Itaca, prima i marinai e coloro che l'avevano seguito in guerra dei quali nessuno è sopravvissuto, poi i proci che ha ucciso con le sue mani. La dea Atena però interviene nella disputa e convince tutti a desistere dai propositi di vendetta.
Ulisse (o Odisseo, dal greco Ὀδυσσεύς, Odysseus), originario di Itaca, è uno degli eroi achei descritti e narrati da Omero nell'Iliade.
Al contrario di Achille, personaggio principale dell'Iliade, che agisce dominato dagli istinti primordiali (l'Ira in particolare), Ulisse invece (uomo dal multiforme ingegno) ricorre sovente a stratagemmi e ai suoi molteplici talenti (è in grado di costruirsi una zattera sull'isola di Calipso o di fare il cantastorie presso i Feaci, ad esempio).
wikipedia

IL POEMA OMERICO DELL'ILIADE

  L'Iliade è un poema epico tradizionalmente attribuito ad Omero, composto da ventiquattro libri o canti, ognuno dei quali è indicato con una lettera dell'alfabeto greco maiuscolo, per un totale di 15.688 versi in esametri dattilici. Il titolo deriva da Īlĭŏn, l'altro nome dell'antica Troia, cittadina dell'Ellesponto (e da non confondere con Ilion nell'Epiro). Opera ciclopica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca e occidentale. Narra le vicende di un breve periodo della storia della guerra di Troia, accadute nei cinquantuno giorni dell'ultimo anno di guerra, cui l'ira di Achille è l'argomento portante del poema.L'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano 51 giorni dell'ultimo anno della guerra di Troia. Il nucleo conduttore della storia è l'ira d'Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie aristie, ovvero le narrazioni di gesta d'altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie (battaglie di dei).
In questo caso l'autore è Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - autore di due fondamenti della letteratura occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade che l'Odissea, viaggio di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.
I poemi del ciclo troiano erano otto ed oltre ad Odissea e Iliade comprendevano anche: CypriaL'EtiopideLa Piccola IliadeLa caduta di TroiaI RitorniTelegonia, in gran parte andate perduti. Si conoscono i loro nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nelV secolo, che li riassunse in un manoscritto.
Nell'Iliade, oltre agli dèi e agli uomini, si trova una sottocasta di semidei antropomorfi. Tra questi vi è anche Achille. Nei testi epici tali personaggi si possono riconoscere dato che hanno un genitore divino mentre l'altro è un umano. Le ambientazioni della storia sono meno realistiche rispetto all'Odissea.
Le città sono descritte in maniera insufficiente; invece le navi achee sono descritte con molta più concentrazione ed impegno da parte dell'autore.
Lo stile narrativo della storia è maestoso.Il principe troiano Paride, rapì Elena, moglie del re spartano Menelao. Si mobilitò così tutta la Grecia Achea per vendicare l'offesa compiuta da Paride. Dopo nove anni di assedio Agamennone, capo dell'armata achea e fratello di Menelao, si rifiutò di restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, che egli ottenne come preda di guerra. Perciò il dio inflisse una pestilenza al campo dei Greci, costringendo Agamennone a restituire Criseide. Per compensarsi della perdita sottrasse ad Achille la sua schiava Briseide. Achille, sdegnato, ritenendo d'avere ricevuto un affronto, decide di non combattere più a fianco degli Achei, che senza di lui subiscono gravi perdite. Patroclo, amico di Achille, decide di scendere in campo con le sue armi ma viene ucciso da Ettore, principe ereditario troiano e comandante in capo dell'esercito, che poi lo spoglia. Achille, riarmato da Efesto, torna a combattere per vendicare la morte dell'amico; trova lo scontro con Ettore che uccide in duello, infierendo sul suo corpo e confiscando il cadavere. Il re dei troiani Priamo giunge nel campo dei Greci a chiedere la restituzione di Ettore; Achille fa dunque una pace personale con Priamo, permettendogli di riscattare la salma del figlio. Il destino della città di Troia privo del suo eroe più forte è comunque ormai senza speranza.
LE VICENDE DEL POEMA IN SINTESI
Giunti gli eserciti di Grecia a Troia, la sorte per i nemici della Grecia è segnata, perché gli abitanti divini dell'Olimpo, divisisi in tre parti che patteggiano l'una per il popolo avversario, aiutano i guerrieri con i loro prodigi. Inizialmente i greci hanno la meglio sui troiani, ma poiAgamennone litiga con il pelide per il possesso di una schiava di nome Briseide e così l'eroe, offesosi, si allontana dal campo, decidendo di non combattere più. Tersite, guerriero acheo (greco) brutto e storpio, non perde mai l'occasione per sbeffeggiare tutti coi loro vizi e falsi onori, attribuendoli a dei mostri anziché a dei valorosi soldati pieni di virtù. Purtroppo le sue invettive non verranno ascoltate, anzi verrà punito dal guerriero Odisseo (Ulisse per i romani). Ma, sebbene Agamennone possa pensare di poter vincere lo stesso anche senza l'intervento di quel capriccioso di Achille, si sbaglia di grosso. Infatti dopo il primo duello tra il vialoroso e pusillanime Paride con il forte e corpulento Menelao, terminato senza la vittoria di nessuno visto che Paride, trovandosi in difficoltà, scappò via con un trucco, l'esercito greco si trova a fronteggiare la possente armata di Ettore, principe di Troia, e ad arretrare paurosamente verso le navi in spiaggia. Bisogna necessariamente che Achille torni a combattere per la Grecia, facendo riacquistare il buon umore ai soldati demoralizzati, ma l'eroe diFtia ha deciso e nemmeno l'amico e amante Patroclo può fargli cambiare idea.
Aiace ed Ettore si scambiano doni, Xilografia daAndrea AlciatoEmblematum libellus1591.
Intanto l'esercito greco continua a subire perdite sempre più pesanti e accade anche che l'esercito di Ettore arriva a sfiorare le navi nemiche, cercando di bruciarle. E non valgono neanche tanto i consigli dell'indovino Calcante il quale rivela ad Ulisse eDiomede la distruzione di Troia solo tramite il furto del Palladio, statuetta gradita particolarmente ad Atena, protettrice della città. I due eroi si fidano perché, essendo trascorso il decimo anno dall'inizio dello scontro con Troia, come aveva già predetto Calcante, la città sarebbe caduta in mano nemica. Ulisse si arrampica sulle mura e ha anche la possibilità di conoscere per la prima volta la profetessa maledettaCassandra, figlia di Priamo, ma dannata per l'eternità ad annunciare sciagure per via di un amplesso rifiutato con il dio Apollo. Successivamente, dopo aver rubato la statua, Ulisse rivedrà ancora una volta anche Elena, la quale lo ingiuria per tutto il male che sta causando l'armata greca a Troia. Ulisse però la minaccia, rinfacciandole le sue colpe e alla fine Elena, piangendo, conclude il discorso maledicendo sé stessa e la cattiva sorte che l'ha spinta ad un amore condannato. Successivamente le cose per i greci non vanno meglio perché in un ennesimo scontro, dopo tanti duelli falliti per ristabilire la pace, il valoroso Patroclo, imbracciate le armi di Achille per far riacquistare vigore alle truppe, muore in duello per mano di Ettore. Il principe di Troia inizialmente trionfa, ma dentro di sé sa bene che presto finirà i suoi giorni di vita colpito dalla mano che non perdona di Achille. E di fatti il "Pelide", celebrati i funerali in onore del suo più caro amico e ristabilita la pace con Agamennone, si lancia in combattimento dopo essersi fatto fondere nuovamente le armi dal dio fabbro zoppo Vulcano(Efesto). Col suo carro guidato da Automedonte che tiene le redini dei cavalli divini Balio e XantoAchille uccide tutto ciò che incontra e fa infuriare sia gli dei dell'Olimpo che il magico fiume Scamandro. Ma il figlio di Peleo non si ferma, perché cerca Ettore il quale, comprendendo il pericolo per i soldati della sua città, decide di sacrificarsi scendendo in campo e sfidando l'eroe a duello. Achille non perde l'occasione e insegue Ettore il quale, come si è detto, ha già il destino segnato. Infatti, trafitto e stramazzato a terra, il suo corpo viene legato per i piedi con una corda legata al retro del carro di Achille e trascinato in campo acheo. Quella stessa notte il vecchio rePriamo si reca nella tenda di Achille e, baciandogli le mani, lo supplica di lasciargli ricondurre in città il cadavere straziato di suo figlio per dargli i degni onori. Achille rifiuta ma Priamo gli ricorda il buon carattere e la virtù famosa del padre Peleo, dopodiché Achille scoppia in singhiozzi e, confortando il suo ospite, gli concede di riprendersi suo figlio Ettore.
wikipedia