martedì 22 ottobre 2013

STALIN

Nativo della Georgia, di umili origini, visse un'avventurosa giovinezza come rivoluzionario socialista di professione, prima di assumere un ruolo importante di dirigente all'interno della fazione bolscevica del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, guidata da Lenin. Capace organizzatore, dotato di grande energia e di durezza di modi e di metodi, Stalin, strettamente fedele alle direttive di Lenin, divenne uno dei principali capi dellaRivoluzione d'ottobre e del nuovo stato socialista: l'Unione Sovietica. Il suo ruolo e il suo potere politico crebbero durante la Guerra civile russa in cui svolse compiti politico-militari di grande importanza, entrando spesso in rivalità con Lev Trockij.
Nonostante le critiche mossegli nell'ultima parte della sua vita da Lenin e il duro contrasto con Trockij Stalin, alla morte del capo bolscevico, assunse progressivamente, grazie alla sua abilità organizzativa e politica e al ruolo di segretario generale del partito, il potere supremo in Unione Sovietica. Dopo aver sconfitto politicamente prima la sinistra di Trockij e quindi la destra di Zinovev, Kamenev e Bucharin, Stalin adottò una prudente politica di costruzione del "socialismo in un solo paese", mentre nel campo economico mise in atto le politiche estremistiche di interruzione della NEP, di collettivizzazione forzata delle campagne e di industrializzazione mediante i Piani Quinquennali, lo stakanovismo e la crescita dell'industria pesante[2].
A metà degli anni trenta, in una fase di superamento delle difficoltà economiche e di crescita industriale, Stalin iniziò il tragico periodo delle purghe e del Grande terrore in cui progressivamente eliminò fisicamente, con un metodico e spietato programma di repressione, tutti i suoi reali o presunti avversari nel partito, nell'economia, nella scienza, nelle forze armate, nelle minoranze etniche. Per rafforzare il suo potere e lo stato sovietico contro possibili minacce esterne o interne di disgregazione, Stalin organizzò un vasto sistema di campi di detenzione e lavoro (GULag) in cui furono imprigionati in condizioni miserevoli milioni di persone[3].
Nel campo della politica estera Stalin, timoroso delle minacce tedesche e giapponesi alla sopravvivenza dell'Unione Sovietica, in un primo momento adottò una politica di collaborazione con l'occidente secondo la dottrina della sicurezza collettiva; dopo l'Accordo di Monaco il dittatore, sospettoso delle potenze occidentali e intimorito dalla potenza tedesca, preferì ricercare un accordo temporaneo con Adolf Hitler che favorì l'espansionismo sovietico verso occidente e i Paesi Baltici.
Colto di sorpresa dall'attacco iniziale tedesco con il quale la Germania nazista violava il patto di non aggressione sottoscritto dalle due potenze solo due anni prima[4], nonostante alcuni errori di strategia militare nella fase iniziale della guerra, Stalin seppe riorganizzare il Paese e l'Armata Rossa fino a ottenere, pur a costo di gravi perdite militari e civili, la vittoria totale nella Grande Guerra Patriottica. Il dittatore rivestì un ruolo di grande importanza nella lotta contro il nazismo e nella sconfitta di Hitler; le sue truppe, dopo aver liberato l'Europa Orientale dall'occupazione tedesca, conquistarono Berlino e Vienna, costringendo il Führer al suicidio[5]..
Dopo la vittoria Stalin, divenuto detentore di un enorme potere in Unione Sovietica e nell'Europa centro-orientale e assurto al ruolo di capo indiscusso e prestigioso del comunismo mondiale, accrebbe il suo dispotismo violento riprendendo politiche di terrore e di repressione. Stalin morì per una emorragia cerebrale nel 1953, quando l'Unione Sovietica era diventata una grande potenza economica[6][7][8], una delle due superpotenze mondiali dotata di armi nucleari, e guida del mondo comunista mondiale.
Dal 1956, a partire dal XX Congresso del PCUS, Stalin, che era stato oggetto di un vero e proprio culto della personalità nella ultima parte della sua vita[senza fonte] da parte dei dirigenti e dei simpatizzanti del comunismo mondiale, è stato sottoposto a pesanti critiche da parte di politici e storici per la sua attività politica e per i suoi spietati metodi di governo.
Nacque nel 1878 da Vissarion Džugašvili (1853-1890) e da Ekaterina Geladze (1858-1937), in una povera famiglia georgiana. Picchiato spesso dal padre, Stalin ebbe per tutta la sua esistenza rapporti difficili con la propria famiglia; alcuni studiosi hanno ritenuto che tali conflitti familiari abbiano provocato in lui diverse turbe psicologiche[9]; tuttavia, queste affermazioni furono smentite dal diretto interessato che, di fronte a una precisa domanda del biografo Emil Ludwig, rispose: "Assolutamente no. I miei genitori non mi maltrattavano affatto"[10]. In seguito, in un suo manuale di marxismo scolastico, Stalin parlò del padre come un classico esempio di proletario con una coscienza ancora "piccolo-borghese"[11].L'infanzia di "Soso" (diminutivo georgiano di Josif) non fu priva di momenti critici per la sua salute fisica, dapprima per una forma acuta di varicella e poi quando, a dieci anni, fu investito e travolto da un cavallo nel corso di una festa di paese: rimase gravemente ferito al braccio sinistro, perdendone parte della capacità di articolazione. Giovanissimo poté frequentare, grazie a una borsa di studio, il seminario teologico ortodosso di Tbilisi.
Il contatto, però, con le idee e con l'ambiente dei deportati politici lo avvicinò alle dottrine socialiste. Entrato, così, nel movimento marxista clandestino di Tbilisi nel 1898, allora rappresentato dal Partito socialdemocratico (POSDR), lavorò per qualche tempo al locale osservatorio astronomico. Ma soprattutto cominciò, da allora, un'intensa attività politica di propaganda e di preparazione insurrezionale, che lo portò ben presto a conoscere il rigore della polizia delregime.Arrestato nel 1900 e continuamente sorvegliato, Stalin nel 1902 lasciò la sua città per stabilirsi a Batumi, dove però venne subito imprigionato e condannato a un anno di carcere, seguito da un triennio di deportazione in Siberia. Fuggito nel 1904, tornò a Tbilisi e nei mesi successivi partecipò con energia e notevole capacità organizzativa al movimento insurrezionale, che vide la formazione dei primi soviet di operai e di contadini. Nel novembre del 1905, dopo aver pubblicato il suo primo saggio, A proposito dei dissensi nel partito, divenne direttore del periodicoNotiziario dei lavoratori caucasici e in Finlandia, alla conferenza bolscevica di Tampere, incontrò per la prima voltaLenin, accettandone le tesi sul ruolo di un partito marxista compatto e rigidamente organizzato come strumento indispensabile per la rivoluzione proletaria.
Spostatosi a Baku, dove fu in prima linea nel corso degli scioperi del 1908, Stalin venne di nuovo arrestato e deportato in Siberia; riuscì a fuggire ma fu ripreso e internato nel 1913 a Kurejka sul basso Jenisej, dove rimase per quattro anni, fino al marzo del 1917. Nei brevi periodi di attività clandestina, riuscì progressivamente ad imporre la sua personalità pragmatica e le sue capacità organizzative (nonostante un approccio talvolta eccessivamente "ruvido" che i compagni di partito gli rimproveravano) e ad emergere come dirigente di livello nazionale, tanto da essere chiamato da Lenin nel 1912 a far parte del Comitato centrale del partito.
Nello stesso anno contribuì a far rinascere a San Pietroburgo la Pravda, mentre definiva, nel saggio Il marxismo e il problema nazionale, le sue posizioni teoriche (non sempre, però, in linea con quelle di Lenin, di cui non comprendeva la battaglia contro i deviazionisti, né la decisione di prender parte alle elezioni per la Duma). Tornato a San Pietroburgo (nel frattempo ribattezzata Pietrogrado) subito dopo l'abbattimento dell'assolutismo zarista, Stalin, insieme a Lev Kamenev e a Murianov, assunse la direzione della Pravda, appoggiando il governo provvisorio per la sua azione rivoluzionaria contro i residui reazionari. Ma questa linea fu sconfessata dalle Tesi di aprile di Lenin e dal rapido radicalizzarsi degli eventi. Nelle decisive settimane di conquista del potere da parte dei bolscevichi Stalin, membro del comitato militare, non apparve in primo piano e solo il 9 novembre 1917 entrò a far parte del nuovo governo provvisorio (il Consiglio dei Commissari del Popolo) con l'incarico di occuparsi degli affari delle minoranze etniche. A lui si deve l'elaborazione della Dichiarazione dei Popoli della Russia, che costituisce un documento fondamentale del principio di autonomia delle varie nazionalità nell'ambito dello Stato sovietico.
Membro del Comitato esecutivo centrale Stalin fu nominato, nell'aprile del 1918, plenipotenziario per i negoziati con l'Ucraina. Nella lotta contro i generali "bianchi", fu incaricato di occuparsi del vettovagliamento delle forze bolsceviche sul fronte di Tsaritsyn (poi Stalingrado, oggi Volgograd). In questa circostanza dimostrò grande energia e cominciò a organizzare un suo gruppo di fedeli seguaci; spesso in contrasto con le direttive di Trockij, Stalin venne infine richiamato a Mosca da Lenin che tuttavia apprezzò la sua capacità di direzione e la sua spietata decisione[12]. Lenin si preoccupò della crescente rivalità tra Stalin e Trockij e richiese ad entrambi di comporre le loro divergenze e collaborare per la vittoria della Rivoluzione bolscevica; in effetti Stalin in questa fase elogiò ripetutamente in alcuni discorsi l'operato e l'efficienza di Trockij e sembrò mosso dal desiderio di riavvicinarsi al capo dell'Armata Rossa[13].
Considerato da Lenin e anche da Trockij il dirigente bolscevico più duro e efficiente[14], Stalin venne inviato successivamente negli Urali dove contribuì alla nomina del generale Sergeij Kamenev al comando supremo[15], quindi nel maggio 1919 si recò a Pietrogrado, dove denunciò e represse una presunta cospirazione antibolscevica e organizzò la riconquista di alcune piazzeforti. Infine partì il 3 ottobre 1919 per il fronte sud, come commissario politico del Fronte meridionale, dove riallacciò i rapporti con i suoi fedeli amici della Prima armata a cavalloKliment VorošilovGrigorij OrdžonikidzeSemën Budënnyj[16].
Durante la guerra sovietico-polacca Stalin, commissario politico del Fronte Sud-occidentale del generale Egorov, inizialmente condivise con Trockij le forti riserve sui progetti di offensiva verso il cuore dell'Europa promossi da Lenin; dubbioso sulla possibilità di una insurrezione socialista in Polonia o in Germania, egli evidenziò invece come fosse prudente occuparsi soprattutto della situazione in Crimea e nel Kuban dove le forze bianche avevano ripreso la loro attività e minacciavano la sicurezza delle retrovie del suo fronte. Alla fine però si imposero i progetti strategici di Lenin e del generale Michail Tuchačevskij e Stalin finì per votare disciplinatamente nel Politburo a favore dell'offensiva su Varsavia[17]. Durante la battaglia, che terminò con la sconfitta dell'Armata Rossa, sorse un nuovo violento contrasto con Trockij, quando Stalin si rifiutò, in ragione degli inevitabili pericoli che l'operazione avrebbe comportato ma anche per rivalità personale, di distaccare una parte delle sue forze in appoggio al generale Tuchačevskij e decise di concentrarle invece nella inutile conquista di Lvov[18]. Nel X Congresso del partito del 1921 la condotta e le decisioni di Stalin vennero criticate in una sessione a porte chiuse, nonostante le spiegazioni che egli fornì del suo operato[19]. Le controversie sulle responsabilità nella sconfitta di Varsavia sarebbero continuate fino agli anni trenta e concorsero a rovinare i rapporti tra Stalin e il generale Tuchačevskij[17].
Lenin espresse anche esplicite riserve nei suoi confronti, manifestate nel testamento politico in cui accusava Stalin di anteporre le proprie ambizioni personali all'interesse generale del movimento. Lenin era preoccupato che il governo perdesse sempre più la sua matrice proletaria, e diventasse esclusivamente un'ala dei burocrati di partito, sempre più lontani dalla generazione vissuta tanto tempo in clandestinità prima delle rivolte del 1917. Oltretutto intravvedeva un futuro dominio incontrastato del Comitato Centrale, ed è per questo che propose nei suoi ultimi scritti una riorganizzazione dei sistemi di controllo, auspicandone una formazione prevalentemente operaia che potesse tenere a bada la vasta e nascente nomenclatura di funzionari di partito
Stalin diede anche alcuni contributi allo sviluppo teorico del marxismo-leninismo, in particolare sul rapporto tra socialismo e movimenti nazionalisti[24]. La prassi politica realizzatasi nei trent'anni del suo governo è stata definita dai suoi oppositori (in particolare trotskisti e anti-comunisti) "stalinismo" al fine di evidenziare una sua parziale differenza rispetto alla formulazione classica del marxismo-leninismo. Partendo dal concetto leninista di "dittatura del proletariato", secondo il quale dopo la rivoluzione e prima della realizzazione di una società comunista compiuta sarebbe necessaria una fase politica di transizione in cui i mezzi dello Stato conquistato dai lavoratori vengano da essi impiegati contro la resistenza della minoranza capitalista sconfitta[25], e dalla teoria dell'estinzione dello Stato una volta terminato il periodo della dittatura del proletariato[26], Stalin seguì la teoria della violenza rivoluzionaria crescente all'interno del periodo di transizione[27][28][29] già elaborata da Lenin[30]. Le caratteristiche distintive della gestione stalinista del potere in politica interna sono il culto della personalità e l’impiego del terrore (Gianfranco Pasquino. Dizionario di politica, Gruppo Editoriale l’Espresso. Pag 498), partendo nominalmente dal concetto leninista di "dittatura del proletariato". Lenin, in "Stato e Rivoluzione", aveva previsto che immediatamente dopo la presa del potere rivoluzionario l'apparato di repressione dello Stato, fin dall'inizio del periodo di transizione, avrebbe iniziato a indebolirsi fino ad estinguersi una volta raggiunto il comunismo. Di fatto la pratica staliniana di governo andava nella direzione opposta: una crescita abnorme dell'apparato repressivo dello Stato. Questo creava dei problemi teorici e pratici di difficile soluzione: che socialismo poteva essere quello che si serviva di un apparato repressivo di tal fatta? Sul punto "dell'intensificarsi della lotta di classe man mano che si procedeva verso il socialismo" Stalin fu chiaro. Disse nel Plenum del Febbraio-Marzo 1937: ”Quanto più andremo avanti, quanti più successi avremo, tanto più i residui delle classi sfruttatrici distrutte diverranno feroci”. (Storia dell’Unione Sovietica. Giuseppe Boffa. Arnaldo Mondadori Editore L’Unità. P,252).
Con il 1928 iniziò la cosiddetta "era di Stalin". Da quell'anno infatti la vicenda della sua persona si identificò con la storia dell'URSS, di cui fu l'onnipotente artefice fino alla morte. Dopo aver posto bruscamente termine alla NEP con la collettivizzazione forzata e la meccanizzazione dell'agricoltura e soppresso il commercio privato (i kulaki arricchiti furono declassati a semplici contadini dei kolchoz e quelli che si opponevano venivano avviati a campi di lavoro), fu dato avvio al primo piano quinquennale (1928-32) che dava la precedenza all'industria pesante. Circa la metà del reddito nazionale fu dedicata all'opera di trasformazione di un Paese povero e arretrato in una grande potenza industriale. Furono fatte massicce importazioni di macchinari e chiamate alcune decine di migliaia di tecnici stranieri. Sorsero nuove città per ospitare gli operai (che in pochi anni passarono dal 17 al 33% della popolazione), mentre una fittissima rete di scuole debellava l'analfabetismo e preparava i nuovi tecnici.
Anche il secondo piano quinquennale (1933-37) diede la precedenza all'industria che compì un nuovo grande balzo in avanti; ma non altrettanto brillante fu il rendimento agricolo per cui, in concomitanza con l'entrata in vigore di una nuova Costituzione (1936), ne fu modificata la troppo rigida struttura. A quest'opera indubbiamente gigantesca corrisposero tuttavia un ferreo autoritarismo e un'implacabile intransigenza: ogni dissenso ideologico fu condannato come "complotto".[31]
Furono le terribili "purghe" degli anni trenta (successive al misterioso assassinio di S. Kirov) che videro la condanna a morte o a lunghi anni di carcere di quasi tutta la vecchia guardia bolscevica, da Kamenev a Zinov'ev a Radek a Sokolnikov a Jurij Pjatakov; da Bucharin e Rykov a G. Jagoda e a M. Tuchačevskij (1893 - 1938), in totale 35.000 ufficiali su 144.000 che componevano l'Armata Rossa[32].
Secondo le stime del KGB (1960, rese note dopo la caduta dell'URSS) 1.118 persone vennero condannate a morte nel 1936, 681.692 persone nel 1937-38 (353.074 nel 1937 e 328.018 nel 1938), e 2.552 nel 1939 per reati politici. Il totale di condanne a morte politiche tra il 1930 e il 1953 è, sempre secondo queste stime, di 786.098, anche se molti storici le considerano sottostimate per diversi motivi.[33]
Stalin e i suoi collaboratori giustificarono il bagno di sangue che spazzò via dal PCUS ogni residuo di opposizione alla linea stalinista (operazione che privò, fra l'altro, l'Armata Rossa di oltre la metà dei suoi comandanti più prestigiosi e il partito dei dirigenti della generazione rivoluzionaria), con il timore di complotti e di moti reazionari, nonché con la presenza di una "quinta colonna" borghese-fascista nei vertici dell'esercito. La totale riabilitazione delle vittime di Stalin ha definitivamente dimostrato che non è mai esistito alcun "comploto militare fascista" nell'esercito.[34]
Venne intrapresa una lotta senza tregua contro i reali o presunti nemici del socialismo o antipartito. Vennero allontanati dal potere i più famosi leader della rivoluzione, Trotskij, Kamenev, Zinovev, Bucharin, fino a giungere al culmine, coi processi di Mosca e con l’eliminazione fisica di tutta la vecchia guardia bolscevica e, infine, di Trotskij ( assassinato da un sicario nel 1940), già in esilio da più di un decennio[35]). Per dare un’idea dell’entità della repressione, solo considerando i componenti del Politburo degli anni 20, perirono nelle purghe i seguenti Vecchi Bolschevichi, in gran parte “compagni d’armi di Lenin”: Lev Kamenev, Nikolay Krestinsky, Leon Trotsky, Nikolai Bukharin, Grigory Zinoviev, Alexei Rykov, Jānis Rudzutaks, Grigori Sokolnikov, Nikolai Uglanov, Vlas Chubar, Valerian Kuybyshev, Stanislav Kosior, Sergei Syrtsov. Dei 139 membri e supplenti del Comitato centrale del partito, eletti al XVII Congresso del 1934, nei due anni successivi 98 furono arrestati e fucilati. Dei 1.966 delegati con diritto di voto o di consulenza, 1.108, cioè chiaramente più della maggioranza, furono arrestati sotto l'accusa di delitti controrivoluzionari. (dati del rapporto Krusciov).Ammessa alla Società delle Nazioni nel 1934, l'URSS avanzò proposte di disarmo generale e cercò di favorire una stretta collaborazione antifascista sia fra i vari Paesi sia al loro interno (politica dei "fronti popolari"). Nel 1935 concluse patti di amicizia e reciproca assistenza con la Francia e la Cecoslovacchia; l'anno successivo appoggiò con aiuti militari la Spagna repubblicana contro Franco. Ma il Patto di Monaco (1938) costituì un duro colpo per la politica "collaborazionista" di Stalin che a Litvinov sostituì Vjačeslav Molotov (1939) e alla linea possibilista alternò una politica puramente realistica.
Per lunghi mesi nel 1939 l'Unione sovietica tentò di stringere accordi con l'Inghilterra e la Francia[37], per giungere a un patto che garantisse l'aiuto delle due nazioni all'Unione Sovietica in caso di invasione tedesca, ma le due potenze occidentali inviarono a Mosca solo delegazioni di secondo grado senza il potere di stringere alcun accordo. Così, di fronte alle tergiversazioni occidentali e temendo il sostegno di Francia e Inghilterra alla Germania per costruire un unitario fronte anticomunista, Stalin preferì la "concretezza" tedesca (Patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939) che, secondo lui, se non era più in condizione di salvare la pace europea, poteva almeno momentaneamente assicurare la pace all'URSS e prepararlo a quella che poi verrà chiamata la Grande Guerra Patriottica[7][8][38]. Una diversa interpretazione storiografica è, tuttavia, quella che vede il Patto Molotov-Ribbentrop come un tentativo di Stalin di far uscire l'URSS dall'isolamento internazionale in cui si trovava da almeno un biennio, reso palese dalla Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938 a cui l'Unione Sovietica non era stata invitata. Una ulteriore interpretazione storiografica (ad esempio, quella dello storico russo marxista-leninista Roy Medvedev, che ha scritto diverse opere su Stalin) vede uno Stalin in attesa degli eventi, pronto a schierarsi dalla parte del vincitore appena si fosse palesato come tale. La spartizione della Polonia (1939) e l'annessione di EstoniaLettonia e Lituania e la guerra alla Finlandia (1940) rientrarono nella stessa concezione: garantire al massimo le frontiere sovietiche "calde". In seguito al patto di non aggressione con la Germania, il Comintern, strettamente controllato da Stalin, riesumò il vecchio slogan leniniano della guerra tra opposti imperialismi, attribuendo le maggiori responsabilità a Francia e Inghilterra[39]. Tale linea provocò non poco scompiglio e disorientamento tra le file dei comunisti, molti dei quali erano approdati alle idee del comunismo proprio in funzione dell'anti-nazismo e dell'antifascismo.
WIKIPEDIA

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