domenica 20 ottobre 2013

I DRUIDI

La parola druido denota l'appartenente alla classe dei sacerdoti della religione dei Celti, attraverso buona parte dell'Europa centrale e nelle isole britanniche. I druidi costituivano l'elemento unificante e i depositari della cultura del popolo celtico, peraltro così disgregato e discorde sul piano politico.
Le pratiche druidiche erano parte della cultura di tutte quelle popolazioni chiamate Keltoi e Galatai dai greci e Celtae e Galli dai romani.
Del sistema di credenze amministrato dai druidi in epoca pre-cristiana, e del loro percorso di formazione, si hanno pochissime notizie[1]. Non è tramandato infatti alcun resoconto diretto ed è anzi probabile che fonti simili non siano mai esistite, visto, a dire di Giulio Cesare, il particolare atteggiamento negativo dei druidi nei confronti della tradizione religiosa, una materia sottratta alla scrittura e affidata a un complesso sistema mnemonico in versi[1]. Le uniche fonti scritte da un'epoca in cui il sistema religioso druidico era ancora vivo provengono dal mondo della storiografiagreco-romana[1]. Inutilizzabili sono invece le antiche fonti letterarie irlandesi e gallesi, in cui la figura dei druidi riveste un ruolo marginale e dalla consistenza largamente fittizia[1].
Da quel poco che conosciamo delle pratiche druidiche, esse appaiono profondamente legate alla tradizione e conservative, nel senso che i druidi custodivano gelosamente i loro segreti.
Ora è impossibile giudicare se questa riservatezza abbia avuto profonde radici storiche e sia stata generata nelle trasformazioni sociali di quel periodo, o se ci sia stata discontinuità con una innovazione importante nella religione druidica.
Le possibili origini etimologiche della parola druido sono molte e si dubita abbastanza che la parola possa essere antecedente alle lingue indoeuropee. L'opinione più comune è che la parola derivi dall'unione di due parole celtiche: "duir", che vuol dire quercia, e "vir", una parola che significa "saggezza". Plinio ci dà una prima etimologia della parola collegandola alla radice greca della parola quercia, nel libro che porta il titolo Storia Naturale (Naturalis Historia XVI, 249-251). "Orbene, quercia in gallico si dice dervodaur in gaelico, derw in gallese..." "la parola non può che risalire ad un antico celtico druwides che si può scomporre in dru, prefisso accrescitivo di valore superlativo (che si trova anche nel francese dru "folto", "fitto", "forte"). Cosa non del tutto arbitraria, considerato che i celti dell'odierna Francia avevano intensi rapporti culturali e commerciali con i greci della vicina città greca di Massalia (l'odierna Marsiglia), e usavano l'alfabeto greco per scrivere; aspetto testimoniato da Cesare nel capitolo 14 del VI libro del De bello Gallico. Ciò ha portato a supporre che druid- derivasse senz'altro dal greco drus, quercia, e dal suffisso indoeuropoeo (e greco) -wid"sapere", "scienza", per cui il senso complessivo sarebbe "coloro che sanno per mezzo della quercia", "gli studiosi della quercia", (dal punto di vista religioso-simboloico). È questa l'opinione tuttora più diffusa ed accettata. "I druidi sono i molto veggenti o i molti sapienti, ciò che sembra conforme alle diverse funzioni loro attribuite" (J. Markale, il druidismo, Milano 1997).
Le nostre conoscenze storiche sui druidi sono molto limitate, quel poco è stato offuscato da mistero e mistificazione. Le informazioni di cui disponiamo sono in parte di origine letteraria e la documentazione di Cesare è sicuramente la più ampia e la più organica che si conosca tra quelle pervenute. Inoltre essa è anche attendibile perché Cesare ha soggiornato anni in Gallia ed ha verificato personalmente ciò che poi si trova nelle sue opere. Altre notizie, spesso sotto forma di riferimenti occasionali, sono presenti comunque in diversi autori greci e latini: si tratta di opere pervenuteci frammentariamente (come le Storie di Posidonio) o di testi storici o di geografi vissuti alcuni secoli dopo, quando ormai il processo di romanizzazione aveva fagocitato le tracce originali del passato. Da quel poco che sappiamo delle pratiche dei druidi, queste appaiono profondamente legate alla tradizione e sono inoltre conservative, nel senso che i druidi custodivano gelosamente i loro segreti, infatti le tradizioni druidiche erano costituite da un gran numero di versi imparati a memoria, e risulta che lo studio del corpus di tale tradizione potesse richiedere decine d'anni.
Cesare descrive questo aspetto molto importante della cultura druidica nel capitolo 14 del VI libro del De bello Gallico. Fa capire che probabilmente la cultura druidica celtica sia stata una cultura misterica. Può darsi che sia esistita una "scuola di druidi" ad Anglesey (Ynys Môn) vicino ai laghi magici; ma cosa vi si insegnasse (poesia, astronomia, o persino la lingua greca) è oggetto di vere congetture.
Della letteratura orale druidica di canzoni sacre, formule per preghiere e incantesimi, regole per la divinazione e per la magia, non è sopravvissuto nulla, neppure in forma tradotta; non esiste neppure una leggenda che sia stata tramandata in una forma che potremmo chiamare druidica pura, ovvero senza modifiche e reinterpretazioni cristiane. A volte, i druidi effettuavano sacrifici umani per propiziare le divinità prima di una battaglia, o per leggere la volontà degli dei nel sangue che gocciolava. Parte della pratica religiosa tradizionale rurale può tuttavia ancora essere riconosciuta sotto la superficie della successiva interpretazione cristiana, e sopravvive in feste come Halloween, le bambole di granoturco e altri rituali legati al raccolto; nei miti di Puck o delwoodwose (una sorta di Sasquatch), nelle credenze circa le piante gli animali "fortunati" e "sfortunati", e così via. Tuttavia, è sempre difficile identificare esattamente l'epoca e il contesto culturale a cui si devono far risalire tradizioni come queste, trasmesse oralmente.
I druidi erano considerati essenzialmente non-romani: un editto di Augusto vietò ai cittadini romani di praticare riti druidici. In Strabone troviamo che sotto la dominazione romana i druidi erano ancora arbitri su questioni pubbliche e private, ma che non erano più autorizzati a giudicare casi di omicidio. Sotto il regno di Tiberio, i druidi furono soppressi con un decreto del Senato, ma questo editto dovette essere in seguito rinnovato da Claudio. Nei resoconti di Plinio, l'attività dei druidi è limitata alla pratica della medicina e della magia. Si dice anche che i druidi veneravano ilvischio, e che boschetti di querce erano il loro rifugio preferito. Quando trovavano il vischio, un sacerdote vestito di bianco lo tagliava con un coltello dorato, e due tori bianchi venivano sacrificati nel luogo del ritrovamento.
Descrivendo l'attacco dei romani di Svetonio Paolino all'isola di Mona (Anglesey or Ynys Mon in gaelico), Tacito dice che i legionari furono terrorizzati dall'apparizione di una banda di druidi che, sollevando le mani al cielo, tuonarono terribili maledizioni sulla testa degli invasori. Il coraggio dei romani, tuttavia, ebbe la meglio sulla paura; i britanni furono messi in fuga; e i sacri boschi di Mona furono abbattuti.
Dopo il I secolo, i druidi sparirono dal continente, e i testi dell'epoca fanno riferimenti a questa casta solo in rare occasioni. Ausonio, per esempio, apostrofa il retorico Attius Patera dichiarandolo con disprezzo "discendente di druidi".
Se all'epoca di Cesare i druidi erano ancora nel pieno possesso della loro autorità e dignità, è anche vero che l'intero processo di romanizzazione della Gallia, dopo la sua conquista, portò ben presto alla scomparsa dell'antica religione celtica, con il conseguente indebolimento del prestigio dei druidi. Ritiratisi nelle loro scuole, furono poi perseguitati e soppressi dall'imperatore Claudio, che li considerava dei nazionalisti fanatici: sopravviveranno solo indovini, maghi, e ciarlatani, ma la loro arte verrà combattuta dal cristianesimo, in particolare in seguito all'affermazione di San Patrizio.
WIKIPEDIA

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