Si crede che Traiano, trovandosi sul letto di morte, adottasse come figlio P. Elio Adriano. Nessuna prova però abbiamo di questo fatto. Alcuni pensano che sia stata Plotina, moglie dell'imperatore, a simulare quest'adozione per il grande affetto che nutriva per Adriano
Adriano si trovava in Antiochia in qualità di governatore della Siria quando ricevette l'annunzio dell'adozione: due giorni dopo gli pervenne la notizia della fine dell' imperatore.
Adriano si trovava in Antiochia in qualità di governatore della Siria quando ricevette l'annunzio dell'adozione: due giorni dopo gli pervenne la notizia della fine dell' imperatore.
Come Traiano, Adriano discendeva da famiglia italiana trapiantatasi al tempo di Scipione in Spagna, ad Italica, e qui era nato nel 76. Sua ava era una zia di Traiano; morto quest'ultimo, all'età di dieci anni, il padre, Traiano era stato il suo tutore e alla scuola di un così grande soldato era cresciuto il giovanetto, che lo aveva seguito in ogni guerra e ne aveva avuto consigli, esempio ed onori. |
Nel 98 era stato Adriano a portare a Traiano nella Germania superiore la notizia della morte di Nerva; poco tempo dopo aveva stretto i legami di parentela con l'imperatore sposandone una pronipote, Sabina; lo aveva accompagnato nella prima e nella Seconda guerra contro i Daci e in quest'ultima si era tanto distinto da meritarsi un dono di grande valore e di altissimo significato: l'anello prezioso che Traiano aveva ricevuto da Serva il giorno dell'adozione.
Al pari del defunto imperatore Adriano era alto e forte, camminatore instancabile, cavaliere eccellente, perfetto tiratore d'arco. Andava sempre sotto qualunque clima, a capo scoperto; era cacciatore appassionato; audace e nello stesso tempo prudente, di maniere semplici, frugalissimo, amante delle armi e dei viaggi. Ciò che però lo distingueva da Traiano era l'amore delle lettere e delle arti. Di grande memoria, d'ingegno vivace e di parola facile, Adriano si intendeva di musica, di pittura, di scultura, di architettura, di filosofia, scriveva in prosa e in poesia, in greco e in latino; in greco anzi era così versato ed era così amante della civiltà e della cultura ellenica che a Roma gli avevano messo il nomignolo di "graeculus".
Appena ad Antiochia si seppe dell'adozione di Adriano e della morte di Traiano, le truppe acclamarono imperatore il loro generale, ma Adriano, il quale, oltre ad essere un prode soldato era un avveduto uomo politico, disse loro che solo il Senato aveva il diritto di eleggere il principe, indi scrisse al Senato chiedendo che gli fosse confermato il potere imperiale e giurando di governare per il bene dell' impero. «Il principe appartiene allo stato e non lo stato al principe » scriveva, e nello stesso tempo domandava che fosse fatta l'apoteosi di Traiano.
. Il Senato rispose confermandogli la potestà, e Adriano fu sollecito a ingraziarsi la Curia promettendo che non avrebbe mai e senza il consenso dell'assemblea firmata alcuna sentenza di morte a carico di un senatore; cercò di ingraziarsi il popolo e le legioni facendo loro le solite elargizioni.
Nell'agosto del 118 egli fece il suo ingresso a Roma. Voleva il Senato che il trionfo decretato a Traiano fosse da Adriano solennizzato in suo onore; ma il nuovo imperatore rifiutò e in memoria del defunto fu celebrato un trionfo splendido durante il quale la statua del conquistatore della Dacia venne portata nel tempio di Giove sul Campidoglio. Più tardi, il 24 gennaio del 119, ricorrendo l'anniversario dell' imperatore, furono dati giuochi magnifici in cui cento leoni ed altrettante leonesse furono uccise nel circo.
Per cattivarsi ancora di più la simpatia del popolo di Roma e dei provinciali Adriano con un atto di opportuna generosità ridusse i debiti di questi ultimi, a quello distribuì un doppio donativo, ai cittadini condonò i debiti che verso il fisco avevano contratti da sedici anni per una somma che raggiunse la cifra di novecento milioni di sesterzi e stabilì che ogni quindici anni si facesse una revisione dello stato dei debiti e che le imposte, anziché col sistema degli appalti, venissero riscosse direttamente.
L'impero di Adriano si inaugurava coi migliori auspici, ma sciaguratamente delle condanne ne avevano macchiato gli inizi, condanne che ci mostrano come non da tutti fosse ben vista l'assunzione al principato del nuovo imperatore. Non tutti, difatti, erano contenti della scelta di Adriano. In lui parecchi, che appartenevano alla nobiltà guerriera ed erano seguaci della tradizione romana, vedevano un capo che tendeva a scostarsi dalla linea seguita da Traiano, un uomo che prediligeva molto l'ellenismo a scapito del romanesimo, un principe che alla politica di espansione preferiva una politica di raccoglimento e di difesa. Costoro inoltre avevano motivi personali di risentimento verso l'imperatore. Fra questi erano A. Cornelio Palma, il conquistatore dell'Arabia Pètrèa, e Lucio Quieto, valoroso generale che molto si era distinto sotto Traiano nelle guerre di Oriente.
A Palma da Trajano era stato tolto il comando e il generale attribuiva la causa della sua disgrazia al malanimo di Adriano; Quieto era stato esonerato dal comando delle legioni della Palestina e poi anche dal governo della Mauritania. Quieto e Palma si erano uniti ai due consolari Publilio Celso e Avidio Negrino e tutti a quattro avevano organizzata ai danni dell' imperatore, -mentre lui era assente da Roma- una congiura, che però era stata sventata dalla vigilanza di Attiano e Sulpicio Simile, prefetti delle coorti pretorie. II Senato era stato sollecito a mandare a morte i quattro congiurati.
Adriano si mostrò spiacente che a sua insaputa si era folta la vita ai colpevoli e fece capire che se i quattro non fossero stati così frettolosamente soppressi egli avrebbe concesso loro la grazia. Per confermare i suoi intendimenti tolse dalla carica Attiano e Simile e in loro vece diede il comando dei pretoriani a Claro e Turbone, poi rinnovò la dichiarazione, già fatta per lettera, che non avrebbe firmato per nessun senatore la sentenza di morte senza il consenso di tutto il Senato.
Al pari del defunto imperatore Adriano era alto e forte, camminatore instancabile, cavaliere eccellente, perfetto tiratore d'arco. Andava sempre sotto qualunque clima, a capo scoperto; era cacciatore appassionato; audace e nello stesso tempo prudente, di maniere semplici, frugalissimo, amante delle armi e dei viaggi. Ciò che però lo distingueva da Traiano era l'amore delle lettere e delle arti. Di grande memoria, d'ingegno vivace e di parola facile, Adriano si intendeva di musica, di pittura, di scultura, di architettura, di filosofia, scriveva in prosa e in poesia, in greco e in latino; in greco anzi era così versato ed era così amante della civiltà e della cultura ellenica che a Roma gli avevano messo il nomignolo di "graeculus".
Appena ad Antiochia si seppe dell'adozione di Adriano e della morte di Traiano, le truppe acclamarono imperatore il loro generale, ma Adriano, il quale, oltre ad essere un prode soldato era un avveduto uomo politico, disse loro che solo il Senato aveva il diritto di eleggere il principe, indi scrisse al Senato chiedendo che gli fosse confermato il potere imperiale e giurando di governare per il bene dell' impero. «Il principe appartiene allo stato e non lo stato al principe » scriveva, e nello stesso tempo domandava che fosse fatta l'apoteosi di Traiano.
. Il Senato rispose confermandogli la potestà, e Adriano fu sollecito a ingraziarsi la Curia promettendo che non avrebbe mai e senza il consenso dell'assemblea firmata alcuna sentenza di morte a carico di un senatore; cercò di ingraziarsi il popolo e le legioni facendo loro le solite elargizioni.
Nell'agosto del 118 egli fece il suo ingresso a Roma. Voleva il Senato che il trionfo decretato a Traiano fosse da Adriano solennizzato in suo onore; ma il nuovo imperatore rifiutò e in memoria del defunto fu celebrato un trionfo splendido durante il quale la statua del conquistatore della Dacia venne portata nel tempio di Giove sul Campidoglio. Più tardi, il 24 gennaio del 119, ricorrendo l'anniversario dell' imperatore, furono dati giuochi magnifici in cui cento leoni ed altrettante leonesse furono uccise nel circo.
Per cattivarsi ancora di più la simpatia del popolo di Roma e dei provinciali Adriano con un atto di opportuna generosità ridusse i debiti di questi ultimi, a quello distribuì un doppio donativo, ai cittadini condonò i debiti che verso il fisco avevano contratti da sedici anni per una somma che raggiunse la cifra di novecento milioni di sesterzi e stabilì che ogni quindici anni si facesse una revisione dello stato dei debiti e che le imposte, anziché col sistema degli appalti, venissero riscosse direttamente.
L'impero di Adriano si inaugurava coi migliori auspici, ma sciaguratamente delle condanne ne avevano macchiato gli inizi, condanne che ci mostrano come non da tutti fosse ben vista l'assunzione al principato del nuovo imperatore. Non tutti, difatti, erano contenti della scelta di Adriano. In lui parecchi, che appartenevano alla nobiltà guerriera ed erano seguaci della tradizione romana, vedevano un capo che tendeva a scostarsi dalla linea seguita da Traiano, un uomo che prediligeva molto l'ellenismo a scapito del romanesimo, un principe che alla politica di espansione preferiva una politica di raccoglimento e di difesa. Costoro inoltre avevano motivi personali di risentimento verso l'imperatore. Fra questi erano A. Cornelio Palma, il conquistatore dell'Arabia Pètrèa, e Lucio Quieto, valoroso generale che molto si era distinto sotto Traiano nelle guerre di Oriente.
A Palma da Trajano era stato tolto il comando e il generale attribuiva la causa della sua disgrazia al malanimo di Adriano; Quieto era stato esonerato dal comando delle legioni della Palestina e poi anche dal governo della Mauritania. Quieto e Palma si erano uniti ai due consolari Publilio Celso e Avidio Negrino e tutti a quattro avevano organizzata ai danni dell' imperatore, -mentre lui era assente da Roma- una congiura, che però era stata sventata dalla vigilanza di Attiano e Sulpicio Simile, prefetti delle coorti pretorie. II Senato era stato sollecito a mandare a morte i quattro congiurati.
Adriano si mostrò spiacente che a sua insaputa si era folta la vita ai colpevoli e fece capire che se i quattro non fossero stati così frettolosamente soppressi egli avrebbe concesso loro la grazia. Per confermare i suoi intendimenti tolse dalla carica Attiano e Simile e in loro vece diede il comando dei pretoriani a Claro e Turbone, poi rinnovò la dichiarazione, già fatta per lettera, che non avrebbe firmato per nessun senatore la sentenza di morte senza il consenso di tutto il Senato.
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