martedì 21 maggio 2013

LE MACCHIE SOLARI


Le macchie solari si formano sulla fotosfera; una macchia è composta da una regione centrale molto scura, chiamata nucleo od ombra, circondata da una zona grigia, detta penombra. La penombra non appare uniforme bensì striata, cioè formata da filamenti chiari e scuri che sembrano convergere verso il nucleo.
La forma e le dimensioni delle macchie sono estremamente variabili e possono cambiare anche in tempi brevi (dell’ordine di poche ore); ciò può essere facilmente compreso se si pensa che la fotosfera, sulla quale esse si formano, si trova allo stato gassoso con una temperatura che si aggira intorno ai 6.000 gradi centigradi. Per contro la temperatura nel nucleo di una macchia può variare da 4.000 a 5.200 gradi centigradi mentre nella penombra raggiungiamo valori pari a 5.500 gradi centigradi; di conseguenza le macchie appaiono scure solo per contrasto con le regioni fotosferiche adiacenti soggette a temperature più elevate.
Il sospetto che il numero della macchie presenti sul Sole potesse variare con un andamento ciclico (cioè alternando massimi e minimi con cadenza regolare) pare l’abbia avuto per la prima volta l’astronomo danese Christian Horrebow (1718 - 1776); purtroppo le sue opere furono pubblicate solo nel 1859 quando l’esistenza di un ciclo delle macchie solari era già stata scoperta dal farmacista tedesco S. H. Schwabe (1789 - 1875) il cui lavoro venne divulgato nel 1851.
Per convenzione si è stabilito che un ciclo di attività solare cominci con un numero minimo di macchie e finisca con l'inizio del minimo seguente.
Analisi statistiche effettuate su valori registrati a partire dal 1715 hanno mostrato che la durata media del ciclo solare (ciclo di Schwabe) è di 11,4 anni; il periodo più lungo è stato di 17,1 anni (dal 1788 al 1805) mentre quello più breve durò 7,3 anni (dal 1829 al 1837).
Una teoria completa che spieghi nei dettagli la nascita, evoluzione e scomparsa di una macchia solare e l’esistenza del ciclo undecennale ancora non esiste. Quello che si sa è che le macchie solari sono sedi di intensi campi magnetici che affiorano dalla fotosfera provenendo dalle regioni sottostanti; in questo modo il flusso di energia, proveniente dall’interno del Sole e diretto verso l’esterno, viene parzialmente interrotto e la zona interessata diventa più fredda.Le macchie solari, come del resto altri fenomeni quali l’estensione della corona o il numero di aurore boreali visibili dalla Terra, sono un indice dell’attività solare; più alto è il numero della macchie e più elevata è l’attività della nostra stella.
Dall’esistenza di un ciclo undecennale di variazione delle macchie si deduce allora che anche l’attività del Sole oscilla con lo stesso ritmo (stiamo ovviamente parlando di variazioni molto piccole).
In altre parole il Sole è una stella variabile.

A questo punto potremmo chiederci se l’attività del Sole sia soggetta ad altre variazioni che non siano quelle evidenziate dal ciclo di Schwabe.
Nel 1893 E. Walter Maunder (1851 - 1928), sovrintendente per le ricerche solari del Royal Greenwich Observatory a Londra, si accorse di un fatto decisamente curioso che fino a quel momento era passato inosservato; Maunder aveva condotto uno studio sul numero di macchie osservate sul Sole a partire dal 1610, anno di introduzione del telescopio in Europa, e si accorse che nel periodo compreso fra il 1645 e il 1715 le macchie solari erano praticamente scomparse.
Ciò è molto strano poiché anche nel momento di minimo del ciclo di Schwabe qualche macchia è comunque presente; al contrario, nei settanta anni di durata di quel periodo il numero di macchie presenti sul Sole risultò praticamente azzerato al punto che nel 1671 la comparsa di una timida macchiolina sulla superficie immacolata del Sole fu trattata dagli organi di stampa come un evento eccezionale.

Maunder pubblicò i risultati del suo lavoro in due articoli (1894 e 1922) che però non vennero presi nella dovuta considerazione principalmente per due motivi. In primo luogo le osservazioni del numero di macchie solari vengono ritenute complete e affidabili solo a partire dal 1700; in secondo luogo vi era da parte degli astronomi una certa riluttanza ad accettare l’esistenza di cambiamenti dell’attività solare diversi da quelli regolari indicati dal ciclo di Schwabe.
Studi recenti hanno invece rivalutato il lavoro di Maunder poiché vi sono forti indizi (per non parlare di prove schiaccianti) che l’attività solare nel periodo che va dal 1645 al 1715, oggi noto col nome di Minimo di Maunder, subì una drastica diminuzione.
Abbiamo visto come il numero di macchie presenti sul Sole non sia l’unico indicatore del livello di attività della nostra stella. Prendiamo ad esempio la corona solare: la sua visione ad occhio nudo è uno degli aspetti più affascinanti della fase di totalità di un’eclisse di Sole.
La forma e le dimensioni della corona dipendono fortemente dal livello di attività solare. Ora fra il 1645 e il 1715 si verificarono 63 eclissi totali di Sole; quelle visibili dall’Europa furono studiate con grande attenzione e gli osservatori furono concordi nell’affermare che la corona solare era scomparsa.

Parliamo adesso di aurore boreali.
Le Luci del Nord’, come vengono anche chiamate, sono frange luminose, variamente colorate, visibili nelle regioni polari causate dall’interazione del vento solare con l’alta atmosfera.
La conformazione del campo magnetico terrestre intrappola e convoglia le particelle cariche del vento solare in direzione dei due poli; questo è il motivo per cui le aurore boreali, molto comuni dei cieli delle regioni ad elevata latitudine, sono rarissime nelle zone temperate e all'equatore.
Da quanto appena esposto si capisce come anche il numero di aurore boreali dipenda dall’attività del Sole.

Ebbene nel periodo dal 1645 al 1715 le aurore boreali furono molto rare e addiritura scomparvero del tutto negli ultimi trentasette anni del periodo; si narra che nel 1716 la notizia dell’apparizione della prima aurora boreale dopo tanto tempo suscitò la curiosità e la sorpresa di Hedmund Halley (1656 - 1742), il grande astronomo inglese che scopri la periodicità della cometa che porta il suo nome, il quale ammise quasi con vergogna di non averne mai osservata una in tutta la sua vita nonostante avesse ormai sessanta anni.
Ovviamente Halley non sapeva di essere vissuto a cavallo del Minimo di Maunder.

Un altro indicatore del livello di attività solare, di cui non abbiamo parlato in precedenza, è la quantità di Carbonio-14 presente negli anelli di accrescimento degli alberi; tutti sappiamo che la sezione del tronco di un albero mostra generalmente una serie di anelli concentrici contando i quali si riesce a risalire all’età dell’albero stesso.
È già stato osservato da tempo che lo spessore degli anelli varia in sintonia con il ciclo undecennale delle macchie solari, segno inequivocabile dell’influenza che il ciclo ha sul clima terrestre.
D’altra parte il carbonio-14 è una rara varietà radioattiva del carbonio che si forma nell’alta atmosfera terrestre a causa del bombardamento degli atomi di azoto da parte dei raggi cosmici, un flusso di particelle cariche che proviene dallo spazio.
Il carbonio-14, dal punto di vista chimico, è indistinguibile del carbonio ordinario cosicchè viene assimilato dalle piante grazie alla fotosintesi clorofilliana e, fra l’altro, si accumula nel tronco degli alberi.
Quando il Sole è fortemente attivo il suo campo magnetico scherma parzialmente la Terra, la quantità di raggi cosmici in arrivo è minore e quindi si forma meno carbonio-14; al contrario quando il Sole è quieto arrivano più raggi cosmici con il conseguente aumento di carbonio-14 che viene a formarsi.
Di conseguenza la percentuale di carbonio-14 nel tronco degli alberi è un altro indicatore del livello di attività del Sole.

L’esistenza di alberi millenari (es. pinus aristata) ha consentito lo studio della percentuale di carbonio-14 nell’atmosfera per un periodo di circa 7 mila anni e i risultati sono veramente interessanti.
Innanzitutto lo studio conferma il brusco calo dell’attività solare in corrispondenza del Minimo di Maunder; inoltre l’andamento del livello di carbonio-14 rivela che il Minimo di Maunder non fu l’unico.
Sono stati scoperti altri undici periodi caratterizzati da una diminuzione dell’attività del Sole alternati a periodi in cui l’attività solare subì un forte incremento.

Gli effetti sul clima terrestre potrebbero essere notevoli anche se non tutti gli scienziati concordano su questa relazione.
Sta di fatto comunque che il Minimo di Maunder cadde nel bel mezzo della Piccola Età Glaciale, un periodo che va dal 1450 al 1850 con un clima insolitamente freddo caratterizzato da un forte abbassamento delle temperature medie e da una forte espansione dei ghiacciai.
Al contrario il Massimo Medioevale, un periodo insolitamente caldo che va dal 1100 al 1250, coincide con periodo di forte attività solare.

Oggi il tema dei mutamenti climatici è di grande attualità; alcuni modelli matematici utilizzati dai climatologi per studiare l’andamento del clima del nostro pianeta tendono a minimizzare gli effetti della variazione dell’attività solare concentrandosi principalmente sul contributo delle attività umane (imputato numero uno: l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera a causa del massiccio impiego di combustibili fossili); però, alla luce di quanto visto fino ad’ora, ritengo personalmente che tenere in poca considerazione l’attività solare sia un grosso errore.
planet.racine.ra.it

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