mercoledì 10 aprile 2013

SPECIALE HCS: I SANNITI

 Il primo problema che si affronta nella descrizione dei Sanniti, è l’attendibilità delle fonti storiche. Si tratta di un popolo che ha ingaggiato una dura lotta con i romani per circa tre secoli, uscendone, alla fine, sconfitto.
Tutti gli storici che descrivono questo popolo, come Livio ad esempio, sono filoromani, cioè schierati dalla parte dei vincitori, ed hanno svolto una continua propaganda, volta ad esaltare i signori del mondo di allora e ad oscurarne i nemici.
I sanniti, presenti in Italia già dal 600 a.C., sono frutto di una fusione tra popolazioni autoctone provenienti dall’area sabina centro-meridionale ed indoeuropee. Il risultato di questo processo è stato la formazione di gruppi osco-umbri che si sono sparsi su tutto il territorio. Questi trovarono una lingua locale abbastanza facile da apprendere e la fecero propria: l’osco. Essa, infatti, risulta essere la più diffusa in tutta l’Italia.
Una seconda difficoltà relativa alla descrizione dei sanniti sta nell’individuarne l’autenticità. Infatti, oltre ai sanniti stessi, esistevano moltissime popolazioni che parlavano l’osco: Sabini, Bruti, Lucani, Peligni (di Sulmo e Corfinium), Umbri, Piceni, Marsi (Fucino inferiore e Alba Fucens) Aurunci (di Cales) Equi (di Carseoli) Volsci (di Arpinum, Fregellae), Hernici(Ciociaria)Frentani (di Larinum) Apuli o Dauni (di Arpi) Messapii (Salento) Marrucini (basso Abruzzo) Vestini (alto Abruzzo) Campani (di Capua) Alfaterni (di Nuceria) ,Sidicini (di Teanum).Tra i sanniti non vi era il concetto di civitas o di città-stato. La più piccola unità politica era il pagus. Si trattava di una parola osca che rappresentava un distretto rurale semindipendente. Esso svolgeva funzioni governative locali, reclutava militari, aveva nel suo interno edifici e in esso si tenevano assemblee, dove si approvavano leggi. Più pagi formavano un touto. Il touto dei Peligni era composto di 25 pagi. Soprattutto in termini militari, i sanniti si riunivano spesso in touto, che risiedeva presso la capitale. Alcune tribù avevano più capitali perché, di volta in volta, il touto si riuniva in luoghi diversi.
L’autorità amministrativa più importante era il meddix tuticus (magistrato-console), che veniva eletto dall’assemblea e gestiva molto potere. Vi erano anche dei funzionari minori: censor, legatus (kenzstur in osco), aidilis, praetor, prefectus. Simbolo del potere era un trono di pietra. Solo con la dominazione romana il potere fu affidato ad una oligarchia fatta di ricchi possidenti, a cui erano legati numerosi vassalli. Questa fu la fase di decadenza della società sannita, in cui una classe ristretta aveva potere di vita e morte sulla maggioranza della popolazione.
Ciascun touto era una repubblica ed approssimativamente corrispondeva ad una tribù. Quando i sanniti dovevano affrontare una guerra, nominavano un comandante in capo. Spesso le diverse tribù si riunivano in federazioni, in particolare nella fase finale della guerra contro Roma.
Vi era anche una classe sacerdotale che gestiva un potere non indifferente. Non si conosce praticamente nulla della condizione della donna, anche se si presuppone che la società fosse abbastanza patriarcale.
 Dal 500 a.C. al 350 a.C., i sanniti, attraverso i loro flussi migratori con i quali conquistavano territori ricchi di pascoli e di campi da coltivazione, controllarono gran parte dell’Italia centro-meridionale (Sannio, Molise, alta Lucania, alta Puglia, Alta Campania), realizzando un regno abbastanza florido. Anche il tenore di vita sannita mutò in funzione delle ricchezze che venivano lentamente acquisite.
In Campania, gli etruschi lasciavano spazio alle tribù sannite che avevano sempre più interesse a controllare territori ricchi come Capua, Pompei, Nocera e Nola. Verso la Puglia la loro espansione si sentiva minacciata da incursioni dall’Oriente, mentre in direzione della Calabria (Bruzi) e della bassa Campania vi erano influenze elleniche e siceliote, in particolare siracusane. Nel momento in cui gli interessi sanniti si diressero verso il basso Lazio e Napoli, si entrò in contatto con i romani.
 I rapporti tra i romani ed i sanniti ci sono stati raccontati dagli storici romani, per cui sono comunque da considerare di parte e non sempre realistici. Con un’opportuna valutazione delle varie fonti storiche, possiamo tentare di descrivere i rapporti intercorsi tra questi due popoli.
Nel 354 a.C. venne stipulato un accordo tra i romani ed i sanniti, entrati in contatto nella zona del fiume Liri, nel basso Lazio, ricca di metalli nel giacimento dei monti della Meta. I due popoli si impegnavano a mantenersi al di là del fiume e a darsi reciproco appoggio da eventuali invasioni di galli o di altri popoli. Roma nel 348 a.C. aveva siglato un simile accordo con Cartagine.
L’accordo con i sanniti fu rispettato per 11 anni. Entrambi i popoli si spartirono il territorio dei Volsci  senza ostacolarsi. I romani si impossessarono di Sora, Satricum, Fabrateria ed i sanniti di Casinum, Arpinum, Interamna e Fregellae, che venne distrutta.
Nel 343 a.C. i sanniti, interessati alla valle del Volturno, minacciavano i Sidicini , che chiamarono in aiuto una lega campana capeggiata da Capua. Questi vennero sconfitti ed allora invocarono l’intervento dei romani, anch’essi interessati alla fertile regione.
LA PRIMA GUERRA SANNITICA
Il console romano M. Valerio Corvo vinse presso il monte Barbaro (mons Gaurus), mentre l’altro console A. Cornelio Cosso cadde in un’imboscata presso Saticula (Sant’Agata dei Goti) e si salvò solo per il coraggio di P. Decio Mure. Valerio Corvo rivinse a Suessula ed i romani lasciarono, come presidio per l’intervento, una guarnigione nella zona per l’inverno. L’anno successivo scoppiò un ammutinamento presso questa guarnigione, sedato dallo stesso Corvo. Nel 342 a.C. la guerra si concluse: i romani rinunciavano ai Sidicini, i sanniti alla Campania.
Per anni, si è discusso se questa guerra ci fosse stata veramente. Ad oggi risulta abbastanza attendibile.
Dal 340 a.C. al 338 a.C. ci fu la guerra latina : una lega composta da Volsci, Aurunci LatiniSidicini e Campani si mosse contro i romani che stavano diventando sempre più forti. Al fianco di questi ultimi si schierarono i sanniti, troppo interessati a non perdere d’occhio i loro avversari. Si svolse una battaglia presso il Vesuvio, a Suessa, dove la lega venne sconfitta. Come risultato della guerra con i Latini, Roma espanse i propri confini e distrusse sistematicamente i vari popoli che vi abitavano, in particolare gli Equi, rafforzandosi sempre di più. Ai sanniti spettò il territorio dei Sidicini.
Verso il 335 a.C. tra i due popoli cominciò una partita a scacchi, fatta di mosse e contromosse lungo la valle del Liri. I romani erano troppo interessati alle regioni occupate dai sanniti e cominciarono a fondare colonie e costruire strade, le vie Latina e via Appia, in particolare, che andavano verso la direzione meridionale. Nel 328 a.C., al di sotto del Liri, venne fondata la colonia latina di Fregellae, che controllava la regione e la valle del Sacco. In questo modo si violavano palesemente gli accordi del 354 a.C., ma i sanniti erano impegnati in Lucania, doveAlessandro il Molosso, re di Sparta, forse spinto dai romani, invase l’Apulia. Presso Pandosia i sanniti ed i lucani sconfissero gli invasori, quindi poterono dedicarsi alla lotta con Roma.
LA SECONDA GUERRA SANNITICA
In questo periodo a Roma le plebe comincia ad avere maggior potere, basti pensare che un console veniva eletto dalla plebe. Si forma dunque una nuova classe politica che ha sempre più maggiori ambizioni. Roma era uscita molto più forte dalla guerra con i latini ed aveva circondato i sanniti in una morsa, alleandosi con l’invasore spartano. Tuttavia ancora non era riuscita ad aprirsi un varco negli Appennini.
Nel 326 a.C. i sanniti entrarono a Neapolis, per proteggere una fazione politica a loro favorevole. Capua, colonia romana, si sentiva minacciata, per cui l’esercito romano corse in difesa, non rispettando di nuovo gli accordi di pace siglati in precedenza. Questo venne fatto entrare nella città di Neapolis, dove, con l’inganno, erano state allontanate le truppe sannite.
Per quattro anni non avviene molto dal punto di vista militare tra i due eserciti.
Nel 321 a.C. i due consoli romani riunirono gli eserciti ed invasero il Sannio, muovendo dalla Campania e dirigendosi verso i Caudini, attraversando una zona montuosa impervia adatta per le imboscate nemiche.  
Le legioni romane rimasero intrappolate all’interno di una gola circondata dai sanniti: è la disfatta delle Forche Caudine, nella zona tra Santa Maria a Vico ed Arpaia, ad opera dell’eroe Gavio Ponzio Telesino , figlio di Didimia ed Erennio, altro valoroso generale. Ai romani venne imposto di rispettare i patti siglati in precedenza ed i circa 15.000 soldati subirono l’onta di essere spogliati e passare sotto il giogo.
Questo aveva una simbologia particolare, in quanto, in questo modo i sanniti credevano di annientare completamente l’avversario. Molti generali sanniti successivi prenderanno il nome dell’eroe della famosa vittoria.
La pace venne rispettata per 5 anni, il tempo necessario ai romani per organizzarsi. Essi ripresero Fregellae e Satricum, passate per un breve periodo ai sanniti, strinsero accordi con gli Apuli , al fine di circondare il Sannio, soffocarono una rivolta dei Volsci. I sanniti, dal canto loro, si rafforzarono in Campania.
Nel 315 a.C. l’esercito romano si divide in tre fronti: il console L. Papirio Cursore attacca i sanniti a Luceria, mentre Q. Publilio Filone assedia Saticula, inoltre Q. Fabio Rulliano combatte a Satricum. Il secondo fronte si rivela disastroso per i romani ed i sanniti penetrarono nel Lazio. Presso Lautulae, fra i monti Ausoni ed Aurunci, le milizie di Aulio Cerretano ottennero un'epica vittoria. Successivamente i sanniti si fecero strada fino ad Ardea, devastando i territori che appartenevano ai cittadini romani. Rulliano si preparava a difendere Roma con le riserve, dove scoppiò il panico. I sanniti cercarono alleati negli etruschi che non scesero in guerra. Inoltre, non poterono impegnare tutte le loro forze, perché si videro minacciati in Apulia, ove, tra l’altro, c’era ancora un esercito romano, dall’invasione di un altro re spartano Acrotato, diretto verso la Sicilia, ove regnava Agatocle.
I romani vinsero i sanniti presso Terracina e li respinsero nel loro territorio. Lentamente furono ripresi tutti i territori romani nella valle del Liri ed in Campania.
Nel 312 a.C. furono gli etruschi a scendere in guerra, senza successo. Dal 309 a.C. al 307 a.C. i sanniti compiono incursioni in Apulia allo scopo di riprendere Luceria, senza riuscirci. Verso il 306 a.C. i sanniti ripresero territori verso Sora, in Apulia ed in Campania, approfittando anche di una rivolta in territorio romano da parte degli Equi . L’anno successivo i romani ristabilirono l’ordine e, attraversando il massiccio del Matese, espugnarono Bovianum, capitale dei Pentri, uccidendo il valoroso generale Gellio. Nel 304 a.C., dopo circa 20 anni, ci fu la resa dei sanniti. Gavio Ponzio fu fatto prigioniero e decapitato nel carcere Mamertino.
Roma controllava tutta la valle del Liri, l’Apulia e la maggior parte della Campania. Tutti questi territori divennero subito province. Attraverso la costruzione della via Valeria che penetrava nell’Italia centrale e l’alleanza con i PeligniMarsiMarruciniVestini e Piceni, i Romani stavano isolando e chiudendo in una morsa i sanniti. Con il dittatore C. Giunio Bruto, nel 303 a.C., il territorio situato lungo l’Aniene degli Equi entrò a fare parte di quello romano, e vennero fondate le città di Alba Fucens e Carseoli. Nello stesso periodo ci furono incursioni in Umbria, al fine di prevenire un’eventuale avanzata celtica, e nel Salento, per correre in soccorso dei lucani, minacciati dal principe spartano Cleonimo.
 LA TERZA GUERRA SANNITICA
 Gli inizi sono molto simili a quelli della seconda guerra. I sanniti accorrono in sostegno ad una corrente politica lucana loro sostenitrice. Il resto della popolazione è filo-romano, in particolare l’aristocrazia, per cui Roma accorre in soccorso ed attacca il Sannio dall’Apulia, dalla valle del Liri e dalla Campania. Stavolta, però, i sanniti erano alleati con gli etruschi e con i galli, dunque Roma doveva guardarsi anche dal nord.
Nel 298 a.C. il console Barbato, dopo diverse incursioni in Etruria, mosse verso l’Italia centrale prendendo Cisauna e Taurasiaoppida sanniti che controllavano la zona tra Luceria eMaleventum. L’altro console, Fulvio, saccheggiò Aufidena. Fino al 296 a.C. non vi furono grosse attività e questo contribuì alla rottura dell’alleanza tra lucani e romani e alla crescita del malcontento tra gli Apuli . Il console Mure, saccheggiò per rappresaglia Murgantia, Romulea (Bisaccia), Ferentinum (Forenza).
Il condottiero sannita Gellio Egnazio mosse con il suo esercito verso l’Umbria ed a Clusium o Perusia si unì agli etruschi, ai galli ed agli umbri, formando un esercito imponente. I romani si ritirarono dalla Campania e mossero verso Roma, dove era di nuovo ripreso il panico. Un altro esercito sannita mosse dal Matese e riprese la zona della valle del Liri. Successivamente Fabio Rulliano, che si era già reso autore dell’invasione della Selva Cimina, ripeté le gesta di 10 anni prima, riportando l’autorità e fondando le colonie di Sinuessa eMinturnae, per controllare i territori.
Nel 295 a.C. gli alleati presero Camerinum e affrontarono i romani a Sentinum. Per mancanza di coordinamento e per proteggere altre località, gli etruschi e gli Umbri non scesero in battaglia. I sanniti-galli vennero sconfitti e dispersi, ma fino all’ultimo l’esito della lotta fu incerto. Sembra che di tale coalizione facessero parte alcuni marsi, mentre i piceni erano in lotta con i galli. La battaglia di Sentinum (Sassoferrato) segna la supremazia di Roma nella penisola: una coalizione numerosa quanto l’esercito romano non era riuscita a fermare l’egemonia tiberina.
Al sud, i sanniti sfondarono il fronte e giunsero a Formia, dove vennero fermati dal pretore Appio Claudio Cieco.
Nel 293 a.C. si ebbe lo scontro finale. I consoli Papirio Cursore, antenato di Silla, e Carvilio Massimo mossero rispettivamente verso Aquilonia e Cominium e riportarono una duplice vittoria, celebrata con lunghi fasti. Contemporaneamente vennero pacificati i marsi e furono svolte incursioni militari in Etruria.
Successivamente venne presa Saepinum e tutta la zona di Isernia: i Carecini erano soggiogati. Nel 292 a.C. furono sottomessi i Caudini, anche se vennero incontrate alcune resistenze. A tale proposito sottolineiamo che le informazioni storiche non sono precise, in quanto assistiamo ad un ripetersi di nomi e di luoghi storici: Gavio Ponzio e Forche Caudine.
Nel 291 a.C. il proconsole Fabio Gurgite prese il territorio dei Pentri, mentre il console Megello, muovendosi dall’Apulia, conquistò la città di Venusia, sotto il controllo irpino, divenuta subito la più popolata colonia romana. La guerra si concluse nel 290 a.C.. I sanniti avevano notevolmente ridotto il proprio territorio e cominciò un periodo di romanizzazione dei costumi sanniti, il pagus lasciava il posto alla civitas.
Fino al 283 a.C. Roma fu impegnata a conquistare l’Etruria ed a sottomettere i galli Senoni. Ciò ebbe il suo epilogo nella battaglia del lago Vadimone.
Nel 284 a.C. i sanniti, visto il nemico sia impegnato sul fronte settentrionale e sia minacciato da un’epidemia, riaprirono le ostilità, alleandosi con LucaniMessapii e Bruzi.
 LA QUARTA GUERRA SANNITICA
In realtà il conflitto coinvolse più popolazioni ed è stato ricordato come Guerra di Pirro . E’ opportuno precisare che i sanniti aprirono le ostilità per primi e per 5 anni impegnarono da soli i romani con azioni di guerriglia, fino al 280 a.C., anno dell’arrivo di Pirro.
 
Incursioni di Pirro in Italia
La città di Taranto, vedendosi minacciata dai romani, invitò il re dell’Epiro in Italia, che, anche se poco interessato si alleò con le popolazioni locali. Insieme vinsero ad Heraclea (280 a.C.) ed Ausculum (279 a.C.), lasciando sul posto molte perdite, da cui il termine "vittorie di Pirro ".
Pirro, affamato di conquiste e di tesori, abbandonò l’Italia e si diresse in Sicilia, lasciando i sanniti da soli a fronteggiare la rappresaglia romana che fu terribile. In seguito, il re dell’Epiro, respinto dai cartaginesi a Lilibeo, tornò nella penisola, si riunì ai sanniti e venne sconfitto a Maleventum (275 a.C.). I sanniti si arresero nel 269 a.C. con un’ultima rivolta, capeggiata da un certo Lollio, che venne annientata nel territorio carecino. Del territorio sannita sopravviveva solo quelli degli irpini e dei pentri, separati fisicamente tra loro, dall’Ager Taurasinus . I caudini vennero completamente fagocitati nel territorio romano. E’ in questa fase che gli Irpini perdono la loro identificazione con il resto dei sanniti ed ebbero la nuova capitale nella città di Compsa.
Vennero fondate colonie romane come Telesia, Paestum, Beneventum (268 a.C.) che prese il posto di Maleventum, Aesernia.
Dal 270 a.C. al 220 a.C. la supremazia di Roma in Italia non venne messa in discussione. La strategia della romanizzazione dei sanniti diede i propri frutti quando Annibale, intorno al220 a.C., venne in Italia e non riuscì a portare dalla propria parte le popolazioni meridionali. Per rappresaglia compì enormi devastazioni in territorio sannita, apportandone povertà e disordine.
Solo dopo la vittoria di Canne, alcune fazioni dei Sanniti (Irpini e Caudini), LucaniBruzi    ed Apuli andarono dalla parte del generale punico. L’adesione non fu totale perché i popoli avevano imparato la lezione di Pirro ed erano convinti che, aderendo all’invasore, avrebbero contribuito a sostituire al dominio romano un altro.
Sin dal 215 a.C. iniziarono le azioni di rappresaglia romana contro i sanniti. Annibale, da parte sua, distruggeva le città che non poteva più difendere e così fece per diversi villaggi dell’Italia meridionale. I sanniti rappresentarono parte integrante dell’esercito punico fino al 207 a.C., anno della loro ennesima resa. Il risultato della loro partecipazione alla seconda guerra punica fu un ulteriore indebolimento e una crescita della povertà e miseria.
La maggior parte dei territori sanniti fu trasformata in ager ed i diversi proprietari terrieri detenevano il potere e rappresentavano presso Roma i diritti dei propri sudditi (clientes). Nel corso del tempo i sanniti entrarono a fare parte del tessuto sociale romano, anche se occupavano le posizioni più marginali: non potevano essere celebrati matrimoni misti, non era possibile per un sannita partecipare alla vita politica, non potevano opporsi ad un desiderio espresso da un romano, erano costretti a fare parte dell’esercito al posto dei cittadini romani, intorno al 100 a.C. abbandoneranno l’osco per il latino. Nel 180 a.C. 47.000 Apuani vennero portati al sud, per colonizzare il Sannio, in particolare l’ Ager Taurasinus, come era già successo ai Piceni nel 268 a.C.. Venne attuata, dunque, una politica di migrazione su vasta scala che vide lo spostamento di tante popolazioni sotto il controllo romano. Mentre però ai latini era consentito migrare a Roma, i sanniti potevano occupare le città lasciate dai primi.
Tutto questo venne attuato dai romani attraverso la politica del "divide et impera", in modo da tenere sotto controllo qualsiasi avversario. Questo sistema andò in crisi nel 91 a.C., con lo scoppio della guerra sociale.
SPAZIOINWIND.LIBERO.IT




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