giovedì 26 settembre 2013

SPECIALE HCS: IL CIRCUITO ELETTRICO

Un circuito elettrico è costituito in generale da un insieme di conduttori, collegati tra loro e collegati ai poli di un generatore di tensione. Il più semplice circuito elettrico può essere costruito collegando ai poli di una pila un filo metallico. All'interno del filo metallico passa la corrente elettrica, nel verso convenzionale che va dal polo positivo al polo negativo. Se tagliamo il filo metallico in un punto e alle due estremità del filo colleghiamo una lampadina, la corrente che circola nel filo verrà spesa per accendere la lampadina. La pila fornisce alle cariche l'energia sufficiente a muoversi, ovvero a produrre una corrente elettrica, che, muovendosi lungo il filo metallico, giunge alla lampadina dove si ha la trasformazione dell'energia da elettrica a luce e calore (in una lampadina a incandescenza la corrente passa attraverso il filamento, che si scalda fino a divenire incandescente e produce calore e luce). Quando le cariche hanno ceduto la loro energia alla lampadina ritornano al polo negativo della pila a "fare rifornimento" e il processo si ripete. Il componente del circuito nel quale l'energia elettrica viene spesa (nel nostro caso la lampadina) viene detto resistore o carico.
Quando i conduttori di un circuito sono collegati tra loro in modo continuo (cioè se non vi sono interruzioni nel percorso delle cariche), il circuito si dice chiuso. Se la corrente si interrompe anche in un solo punto, il circuito è aperto. In un circuito aperto la corrente non circola.
I vari elementi di un circuito possono essere collegati in svariati modi, ma di questi i più frequenti sono il collegamento in serie e il collegamento in parallelo. Due conduttori collegati in serie sono attraversati dalla stessa corrente, in successione, mentre in due conduttori collegati in parallelo la corrente si divide in due rami, per poi riunirsi dopo aver percorso i due conduttori. In un circuito i cui elementi sono collegati in serie tutti gli elementi devono funzionare contemporaneamente, mentre in un circuito in parallelo è possibile aprire una parte di circuito, mentre la restante parte continua a funzionare. In un circuito i cui elementi sono collegati in serie, se brucia un elemento del circuito questo si apre e non circola più corrente; per questo motivo nei circuiti domestici i collegamenti sono in parallelo.
La resistenza e le leggi di Ohm
Il valore dell'intensità della corrente in presenza di una certa differenza di potenziale dipende dal mezzo entro cui la corrente scorre. Questo significa che la relazione tra differenza di potenziale e corrente circolante non è uguale per tutti i conduttori, ma varia da conduttore a conduttore.
Per i conduttori metallici e per le soluzioni acquose di elettroliti, cioè di acidi, basi e sali, il fisico tedesco Georg Simon Ohm (1787-1845) ricavò sperimentalmente due leggi, dette prima e seconda legge di Ohm.
La prima legge di Ohm stabilisce che, a temperatura costante, la differenza di potenziale (V) applicata agli estremi di un conduttore è direttamente proporzionale all'intensità della corrente (I) che lo attraversa:
dove la costante di proporzionalità R è detta resistenza elettrica e varia da conduttore a conduttore. La resistenza elettrica è connessa alla difficoltà che la corrente incontra quando circola all'interno di un conduttore (tale difficoltà dipende dalla natura del conduttore e si manifesta attraverso la parziale dissipazione della corrente elettrica come calore, per effetto Joule ). Quanto più R è grande, tanto minore è quindi la corrente che attraversa il conduttore per una data differenza di potenziale: ciò significa che, per ottenere una data corrente, in conduttori con resistenze maggiori dovremo applicare differenze di potenziale maggiori (v. fig. 17.1).
L'unità di misura della resistenza elettrica nel Sistema Internazionale è l'ohm, (simbolo  ). Si dice che un conduttore presenta una resistenza di 1 ohm se, sottoposto alla tensione di 1 volt, è percorso da una corrente di 1 ampere:
La seconda legge di Ohm stabilisce che se a parità di materiale si fanno variare la lunghezza L e la sezione S del conduttore, la resistenza R del conduttore è proporzionale al rapporto L/S:
dove la costante di proporzionalità , che dipende dal materiale con cui è fatto il conduttore, prende il nome di resistività e indica l'attitudine di un materiale a condurre la corrente elettrica, riferita a un campione di sezione e di lunghezza unitari.
Nel Sistema Internazionale la resistività si esprime in ohm per metro (m), ma, poiché normalmente la sezione di un conduttore si misura in mm2 e la sua lunghezza in m, per comodità di calcolo si preferisce esprimerla in mm2/m.
Le due leggi di Ohm non valgono soltanto per i conduttori ma, sia pure con qualche approssimazione, anche per gli isolanti. Dal valore della resistività di un materiale si ricava la sua capacità di condurre elettricità: così, per un buon conduttore i valori di resistività vanno da 10-8 a 10-5 m, mentre per un buon isolante devono essere tra a 1011 e 1017 m; certe sostanze con caratteristiche intermedie, i semiconduttori, hanno valori intermedi di resistività. La resistività dei conduttori cresce con la temperatura secondo una legge lineare. A temperature prossime allo zero assoluto (-273 °C = 0 K) la resistività assume in genere valori molto bassi, ma per alcuni materiali, detti superconduttori, la resistività a temperature molto basse si arresta bruscamente.
Nella tabella 17.1 sono riportati i valori della resistività per alcuni materiali conduttori a temperatura ambiente.
La potenza elettrica
In un circuito elettrico viene spesa energia elettrica, prodotta da un generatore, per far funzionare un dispositivo: per esempio, una lampadina. L'energia spesa è energia potenziale elettrica, trasportata dalle cariche, che viene trasformata in altre forme di energia (calore e luce nel caso della lampadina).
La quantità di energia spesa nell'unità di tempo è la potenza elettrica (in meccanica la potenza è data dal prodotto del lavoro compiuto per il tempo impiegato a compierlo).
Nel caso di un campo elettrico E, il lavoro delle forze elettriche per trasferire la carica q dall'inizio alla fine di un conduttore di lunghezza s, tra i cui estremi esiste una differenza di potenziale V, è dato da:
quindi la potenza elettrica P è dato da:
e poichè q/t è l'intensità di corrente, I, si ha:
Quindi, un circuito in cui circola una corrente di intensità I e ai cui estremi viene applicata una differenza di potenziale V consuma una potenza P = VI.
L'unità di misura della potenza è il watt (simbolo W) pari a 1 joule al secondo. Una lampadina che consuma 100 W, consuma 100 J in 1 s. Ma per dare un'indicazione completa del consumo, gli apparecchi elettrici devono fornire anche il valore dell'intensità della corrente alla quale il dispositivo funziona. In un circuito alimentato da una tensione di 220 V (come nei circuiti domestici), una lampadina da 100 W è percorsa da una corrente di 0,45 A. Dalla relazione P = VI si ricava che 1 W = 1 V . 1 A, dunque un dispositivo elettrico assorbe una potenza di 1 W se in esso circola una corrente di 1 A quando ai suoi estremi è applicata una differenza di potenziale di 1 V. Nel caso della lampadina da 100 W, si ha quindi:
Poiché il watt è una misura relativamente bassa (una lampadina consuma in media 60 W, un aspirapolvere domestico 800 W), in genere si usano dei multipli di questa grandezza, come il kilowatt, dove 1 kW= 1000 W (per valutare i consumi negli impianti domestici si usano i kilowattora, kWh, che misurano la potenza consumata dal circuito in 1 ora), oppure i megawatt (1 MW= 1.000.000 W, l'ordine di grandezza della potenza prodotta in una centrale elettrica), o i gigawatt (1 GW = 1 miliardo di watt).
La forza elettromotrice (f.e.m.)
La forza elettromotrice, comunemente indicata con f.e.m., è la differenza di potenziale massima che un generatore elettrico può fornire. La f.e.m. è un valore limite, che viene raggiunto soltanto in un circuito aperto, in cui la corrente che circola è uguale a zero. La f.e.m. e la differenza di potenziale (V) che si misura ai capi del generatore non sono la stessa cosa: infatti il generatore, come qualsiasi altro apparecchio elettrico che venga inserito in un circuito, ha una propria resistenza interna R, che modifica le caratteristiche del circuito, facendo sì che una parte della tensione prodotta venga assorbita dal generatore stesso.
Quindi la tensione V che rimane disponibile per mantenere la corrente I nel circuito è minore della f.e.m. di una quantità RI:
In un circuito chiuso, la differenza di potenziale e la f.e.m. diventano uguali solo nel caso ideale in cui R = 0, che nella pratica è però impossibile da realizzare (spesso, tuttavia, la resistenza interna del generatore è molto minore della resistenza degli altri elementi del circuito e può venire trascurata).
Resistori in serie e in parallelo
Si chiama resistore un conduttore che segue la prima legge di Ohm (V = RI). Poiché ogni resistore è caratterizzato da un determinato valore di resistenza, i resistori vengono spesso chiamati impropriamente "resistenze". I resistori sono componenti fondamentali dei circuiti elettrici e, come gli altri elementi del circuito, possono venire collegati in serie o in parallelo (v. fig. 17.2).
In un circuito con più resistori collegati in serie (disposti l'uno di seguito all'altro) l'intensità della corrente è la stessa in ogni punto del circuito, mentre la differenza di potenziale del circuito è pari alla somma delle differenze di potenziale ai lati dei resistori; per un circuito composto da n resistori (e percorso dalla corrente I) la differenza di potenziale, per la prima legge di Ohm, sarà data da:
La resistenza complessiva del circuito costituito da più resistori collegati in serie è dunque data dalla somma delle resistenze dei resistori del circuito.
In un circuito i cui resistori sono collegati in parallelo, le loro prime estremità sono collegate tra loro e a un nodo del circuito, le seconde estremità sono collegate tra loro e a un secondo nodo del circuito; pertanto ciascun resistore è autonomo dagli altri. In questo caso l'intensità della corrente totale che circola nel circuito (I) è data dalla somma delle intensità di corrente che circolano nei rami del circuito, mentre la differenza di potenziale in ogni punto è la stessa che vi è ai poli del generatore (V). Quindi l'intensità della corrente che circola in un circuito costituito da n resistori collegati in parallelo è data da:
Nel caso di più resistori collegati in parallelo l'inverso della loro resistenza complessiva è uguale alla somma degli inversi delle resistenze dei singoli resistori.
Dispositivi di sicurezza e di misurazione
Nei circuiti domestici o negli apparecchi elettrici di uso comune vengono in genere inseriti dei dispositivi di sicurezza che impediscono che nel circuito si formino sovraccarichi di corrente. Per esempio i fusibili, molto comuni, sono dei piccoli tratti di metallo che interrompono il circuito se l'intensità della corrente supera determinati valori.
I circuiti elettrici sono sempre dotati di interruttori, per aprire o chiudere il circuito in casi particolari, o di interruttori di sicurezza che hanno lo stesso ruolo dei fusibili, ovvero aprono il circuito interrompendo il passaggio di corrente se questa supera valori di sicurezza. Analogamente, il salvavita, che rileva anche piccolissime variazioni della corrente, interrompe il circuito ogni volta che interviene una variazione nell'intensità della corrente, dovuta per esempio a un cortocircuito o a un sovraccarico. In un impianto domestico si può avere un cortocircuito quando si forma un collegamento accidentale tra due punti con una determinata differenza di potenziale con una resistenza molto più piccola del normale. Le correnti che si stabiliscono nel circuito elettrico in presenza di un cortocircuito tendono ad assumere valori molto maggiori di quelli in base ai quali il circuito è stato dimensionato. Poiché la quantità di calore cresce con il quadrato dellacorrente che vi circola, la temperatura dei componenti interessati assume rapidamente valori che possono compromettere l'integrità dei materiali isolanti e provocare la fusione dei conduttori.
Altri dispositivi che intervengono sulla corrente elettrica sono i diodi e i transistor .
Per misurare l'intensità della corrente in un circuito si usa uno strumento chiamato amperometro, mentre per misurare la differenza di potenziale tra due punti di un circuito si usa un voltmetro. Naturalmente, per misurare l'intensità di corrente occorre che l'amperometro alteri il meno possibile la corrente che fluisce nel circuito, quindi che abbia una resistenza molto bassa. Analogamente, perché un voltmetro alteri il meno possibile la potenza del circuito di cui deve misurare la differenza di potenziale, occorre che la sua resistenza sia relativamente alta.
SAPERE.IT

LA SCIENZA

Per scienza si intende un sistema di conoscenze, ottenute con procedimenti metodici e rigorosi e attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata, allo scopo di giungere a una descrizione, verosimile e oggettiva, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni.
La scienza moderna si sviluppa in modo particolare dalla rivoluzione scientifica del XVI secolo con l'accumulo di conoscenze nei più svariati ambiti del sapere. La storia della scienza descrive il loro sviluppo nel tempo.
L'insegnamento della scienza e la ricerca scientifica vengono praticati non solo nelle università, ma anche in istituti, enti e imprese. Vi sono solide vocazioni accademiche, ma anche amatori che si dedicano soprattutto all'osservazione scientifica.
Le regole che governano il procedimento di acquisizione di conoscenze scientifiche sono generalmente conosciute come metodo scientifico. Gli elementi chiave del metodo scientifico sono l'osservazione sperimentale di un evento naturale, la formulazione di un'ipotesi generale sotto cui questo evento si verifichi e la possibilità di controllo dell'ipotesi mediante osservazioni successive.
Uno degli elementi essenziali affinché un complesso (limitato o meno) di conoscenze possa essere ritenuto scientifico è la sua possibilità di essere falsificabile mediante un'opportuna procedura. Inoltre la scienza si propone spesso di pervenire a una conoscenza sia qualitativa che quantitativa dei fenomeni osservati estrapolando teorie interpretative dei fenomeni aventi capacità predittive.
Questo processo consente il raggiungimento di un corpo di conoscenze in qualche modo oggettivo, ovvero teoricamente verificabile da chiunque e ovunque, al contrario del sapere filosofico da cui la scienza prende origine distaccandosene sin dall'inizio. Inoltre, a differenza della filosofia, la scienza è per sua natura tendenzialmente cumulativa, ovvero ciascuna scoperta, una volta verificata, si aggiunge alle precedenti senza rigettarle mai completamente, fornendo al più teorie di validità più generale che ricomprendono le precedenti come caso particolare.
Alcune scoperte scientifiche sono intuitive, altre no. La teoria atomica, per esempio, implica che un pesante masso di granitosolidoduro, grigio, sia in realtà formato da una combinazione diparticelle subatomiche prive di proprietà intuitive, che si muovono molto rapidamente in uno spazio quasi del tutto vuoto. Molti preconcetti sul funzionamento dell'universo sono stati messi in discussione dalle scoperte scientifiche, altri sono stati invece sorprendentemente confermati.
In senso più largo si è tentato di applicare il metodo scientifico anche alle cosiddette scienze umane (ad esempio psicologiasociologiastoriadiritto e scienze politiche) incontrando però difficoltà nella sua applicazione, fra cui la riproducibilità del fenomeno osservato. Ciò nonostante anch'esse possono essere definite a buon diritto scienze intese come sistema di conoscenze. È invalsa però al riguardo la distinzione o dicotomia tra scienze dure, ritenute spesso scienze esatte come ad esempio le scienze sperimentali e quelle applicate, e scienze molli.
La scienza è strettamente legata alla tecnica e alla tecnologia dal momento che le conoscenze scientifiche sono prese a prestito dalle scienze applicate per la progettazione e realizzazione di oggetti, strumenti, opere e infrastrutture; viceversa la tecnica offre alla scienza strumenti di indagine scientifica (strumenti di misura e osservazione) sempre più avanzati, che consentono l'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Scienza e tecnica sono dunque fattori indissolubili di parte del progresso della società noto come progresso tecnico e scientifico.
La parola scienza deriva dal latino scientia, che significa conoscenza. Fin dall'Illuminismo questa parola (e la sua origine latina) aveva il significato di qualsiasi sistematica o esatta registrazione della conoscenza. Di conseguenza la scienza, a quel tempo, aveva lo stesso tipo di significato dato alla filosofia, nel senso più ampio del termine. Per esempio si distingueva tra scienze naturaliscienze morali; in queste ultime si comprendeva anche la filosofia, e questo si rifletteva nella distinzione tra filosofia naturale e filosofia morale. Dal positivismo scienza indica propriamente ciò che chiamiamo scienze naturali.
I campi di studio spesso si distinguono in scienze dure e scienze molli (particolarmente in ambito anglosassone, dove si usa anche la contrapposizione scienze pesanti-scienze leggere): questi termini sono sinonimi, rispettivamente, di scienze naturali, cioè che indagano la natura, e scienze sociali o umane, cioè che indagano l'uomo in tutte le sue sfaccettature.
La fisica, la chimica, la biologia, l'astronomia e le scienze della terra sono le maggiori forme di scienze pesanti. Gli studi di antropologiaetnologiaarcheologiastoriapsicologiasociologia,politologiaeconomiafilologiacritica letterarialinguisticagiurisprudenzastoria dell'arte e medicina vengono identificati con le scienze leggere, in quanto generalmente prive di una base matematica strutturale.
  1. I sostenitori di questa suddivisione affermano che la cosiddetta scienza leggera non usa il metodo scientifico strictu sensu, ma ammette evidenze aneddotiche -spesso non matematiche- e utilizza un diverso criterio di rigore rispetto ai canoni del metodo scientifico.
  2. I critici di questa suddivisione notano che alcune scienze sociali fanno spesso uso di studi statistici, ambientali e rigorosamente controllati, servendosi inoltre di matematica complessa come l'analisi. Fanno anche notare che nelle scienze naturali, per esempio nel campo della biologia comportamentale o nell'astronomia, l'ambiente è totalmente incontrollabile e i fenomeni prevalentemente non riproducibili, quindi ci si deve limitare alla mera osservazione. Affermano inoltre che anche la scienza pesante ha sofferto, e spesso soffre tuttora, di carenze di rigore nel metodo e nella precisione delle osservazioni, oltre che dei limiti della tecnica.
Inoltre è diffusa la tendenza (di derivazione comtiana) a considerare la matematica la base universale di tutte le scienze, e a considerare "pesanti" solo le scienze che fanno integrale uso di modelli matematici, quali la fisica e la chimica, con le relative applicazioni di astrofisicafisica delle particellebiochimicageneticaingegneriainformaticarobotica etc. Altra definizione applicabile alle suddette discipline è quella di scienze galileiane, così chiamate in onore del metodo di verifica sperimentale storicamente attribuito a Galileo Galilei.
Nel quadro di questa formulazione teorica di ciò che è scienza in senso stretto, si inseriscono i critici, comunque minoritari, della biologia evoluzionistica, come il fisico Antonino Zichichi, i quali imputano alla biologia di non essere pienamente matematizzabile e di servirsi della matematica solo come strumento d'indagine per avvalorare le proprie tesi.
Qualche volta il termine scienza è utilizzato al servizio di campi nuovi e interdisciplinari che fanno uso, almeno in parte, del metodo scientifico, e che in ogni caso aspirano a essere esploratori attenti e sistematici dei loro soggetti di studio, compresa l'informatica, la scienza dell'informazione e le scienze ambientali.
Socrate accostò per primo il sapere alla virtù, sostenendo che l'uomo che non sapeva cosa fosse il bene non poteva certo farlo. Platone sostenne che la scienza fosse più valida delle rette opinioni perché legava queste ultime con ragionamenti causali. Aristotele elaborò una teoria più articolata secondo la quale la scienza è conoscenza dimostrativa, cioè si conosce la causa di un oggetto, per la quale l'oggetto non può essere diverso da come è. Secondo gli Stoici, la scienza era la comprensione sicura, certa, immutabile, basata sulla ragione.
La scienza moderna poggiò le sue basi da questi modelli e Galilei pose le "dimostrazioni necessarie" sullo stesso piano delle "sensate esperienze". L'ideale geometrico della scienza dominò il pensiero di CartesioIsaac Newton stabilì il concetto descrittivo della scienza contrapponendo il "metodo dell'analisi" al "metodo della sintesi".
Bernard enunciò che la semplice constatazione dei fatti non poteva mai costituire da sola una scienza; per istruirsi bisognava ragionare sulle osservazioni, paragonare i fatti e giudicarli con altri fatti aventi la funzione di controllo. Uno degli ultimi paradigmi è quello dello stabilimento di leggi scientifiche, comprendendo la natura delle leggi e il modo di stabilirle.
Lo scopo ultimo della scienza è la comprensione e la modellizzazione della natura al fine di potere prevedere lo sviluppo di uno o più fenomeni.
Ogni teoria scientifica sviluppa un modello che permette la rappresentazione matematica o, più in generale, razionale del fenomeno, al fine di potere fare delle previsioni. Esistono inoltre casi in cui lo sviluppo di un modello in un certo ramo della scienza può facilitare lo sviluppo di altri modelli in altri rami della scienza senza che questi siano necessariamente legati.
Nonostante le aspettative che si ripongono sulla scienza, compresi gli atteggiamenti scientisti, il suo obiettivo non è dare una risposta a qualsiasi domanda dell'uomo, né una soluzione a qualsiasi suo problema, ma solo a quelli pertinenti alle leggi che regolano le manifestazioni della realtà fisica. Inoltre è importante la scelta di quali siano gli interrogativi ai quali la scienza debba rispondere.
La scienza non è in grado di dimostrare, né produrre, verità assolute, ma solo verosimiglianze, tramite la verifica coerente delle ipotesi sui diversi aspetti del mondo fisico; quando sia necessario, si rimette in discussione, rivedendo le sue teorie alla luce di nuovi dati e osservazioni.
Non ha la presunzione di descrivere in termini assoluti come la natura è, ma trae solo delle conclusioni in base all'osservazione della natura. Per esempio, lo sviluppo della meccanica quantisticaagli inizi del XX secolo mostra che l'osservazione non è indipendente dagli eventi, e la scoperta della dualità onda-particella ha modificato l'idea tradizionale sulla natura della luce e della materia.
La scienza, tuttavia, non è una sorgente di giudizi di valore soggettivi, ma può avere un ruolo importante nell'etica pubblica, indicando alla politica le probabili conseguenze di determinate scelte.
Nel linguaggio tecnico-scientifico contemporaneo termini come ipotesimodelloteoria scientifica e legge hanno un preciso significato:
  • un'ipotesi è un assunto non ancora supportato da verifiche sperimentali
  • un modello è un'astrazione utile a fare delle previsioni sull'occorrenza di un fenomeno, che possono essere verificate mediante esperimenti e osservazioni
  • una teoria è la spiegazione di un fenomeno che ha basi sperimentali così solide da poter essere assimilata a un fatto[1]. Ciononostante vi sono eccezioni: nel caso della teoria delle stringhe, che corrisponde a un modello fisico estremamente utile, ci si trova di fronte a una teoria non ancora sostenuta da tali evidenze da poter essere ritenuta superiore ad analoghi modelli in competizione.
  • una legge è una generalizzazione che ha valore assoluto nel suo ambito di applicazione.
Le teorie che nel tempo superano diverse verifiche sono considerate "dimostrate" in senso scientifico, ossia sono considerate modelli verosimili della realtà. Tali teorie possono comunque essere smentite (falsificate in gergo scientifico) in qualsiasi momento da un'osservazione in contrasto con esse, comprese quelle fino ad allora universalmente accettate e sostenute da molte osservazioni e dati sperimentali.
Le teorie scientifiche sono sempre aperte a revisioni, nel caso che nuove evidenze contraddicano le loro previsioni. La scienza non pretende di avere la conoscenza assoluta e definitiva di tutti i fenomeni, e persino i fondamenti di una teoria possono essere inficiati, se dati e osservazioni nuovi contraddicono quelli precedenti (Falsificabilità di Popper).
La legge di gravitazione di Newton è un buon esempio di come la scienza evolva tramite quella che Popper definisce la falsificazione di una teoria. In condizioni di alta velocità e in presenza di forti campi gravitazionali la teoria newtoniana non riesce a descrivere correttamente i fenomeni osservati, nonostante che al di fuori di tali condizioni riesca a fornire previsioni valide. È quindi stato necessario introdurre il concetto di relatività e sviluppare una teoria rivoluzionaria al fine di comprendere tali fenomeni. Siccome la legge della relatività generale descrive anche i fenomeni compresi nella legge di Newton, essa è considerata una teoria migliore rispetto a quella newtoniana per descrivere la legge di gravitazione.
Lo sviluppo di nuove leggi e teorie è principalmente basato sull'acquisizione di dati più precisi. Come detto sopra, la legge della gravitazione di Newton è valida entro certi limiti e la si può quindi pensare come un'approssimazione di una legge più complessa. Tutte le nuove leggi o teorie sono sviluppate per comprendere i fenomeni non descritti dalle leggi o teorie precedenti, ma devono continuare a spiegare anche i fenomeni descritti dalle teorie precedenti. Per esempio la relatività generale deve ritrovare gli stessi valori della legge di gravitazione per condizioni di velocità basse e campi gravitazionali deboli. Il progresso della scienza è quindi tendenzialmente cumulativo: anche se nuove teorie dovessero rivoluzionarne le basi, le conoscenze acquisite fino ad allora rimarrebbero valide nel loro dominio.
Questo è un punto fondamentale per la comprensione della scienza: le nuove teorie inglobano le vecchie teorie come loro caso particolare, in un processo diretto a una sempre più ampia conoscenza del mondo fisico. O, detto in altri termini, le nuove teorie sono formulazioni più complete e raffinate delle vecchie, e per questa ragione descrivono fenomeni che le precedenti formulazioni non riuscivano a spiegare.
WIKIPEDIA

IL FEUDATARIO

Il termine feudatario (detto anche vassallo o signore) indicava il governatore di un feudo. Attualmente questa parola è in disuso. Il termine feudo deriva dal germanico few, vocabolo che indicava la proprietà di un arimanno che poteva consistere in beni mobili o in terre. In seguito, il termine si ridusse ad indicare gli immobili e non incluse più il concetto di proprietà.
La figura del feudatario (e tutto il feudalesimo in generale) conobbe una progressiva evoluzione nel tempo e, di conseguenza, fu a lungo incompresa da buona parte della storiografia. Il feudalesimo medievale, tuttavia, può essere racchiuso entro i secoli IX e XV, sebbene in Storia non si dovrebbero mai operare questo tipo di cesure. Altre forme di feudalesimo tuttavia, si diffusero in altre epoche storiche ed in altri luoghi del mondo.
Spesso i termini "feudo" e "feudatario" sono usati in modo generico in quanto esistevano vari gradini della gerarchia feudale: alcuni regni, ad esempio, come quello franco, erano divisi in contee (rette da conti) e nelle ancor più estese e potenti marche (governate da marchesi). Nel Basso Medioevo, poi, si diffusero nuovi titoli feudali come quello ducale, quello langraviale e quello margraviale. La massima proliferazione di nuovi titoli, tuttavia, avvenne nel corso dell'età moderna, quando alla progressiva perdita di potere della nobiltà si affiancò una crescita dei privilegi e degli incarichi onorifici.
Come già accennato, in origine il feudo era il possesso di un arimanno, ovvero di un uomo libero di una tribù o di un regno germanico che godeva della libertà poiché prendeva parte alla guerra e riceveva una quota di bottino. Lo stanziamento dei popoli barbarici nei territori già appartenuti all'Impero Romano e l'influsso del diritto latino, tuttavia, misero in crisi questa concezione di nazione come insieme di pari uniti dalle armi e gettò le basi della successiva civiltà medievale.
Nel Medioevo, con la crisi della figura dell'arimanno e la dominazione franca, i feudatari divennero i nobili a cui il sovrano affidava temporaneamente un territorio del proprio stato (un feudo, appunto, anche detto beneficium) dove questi lo rappresentavono e potevano legiferare, riscuotere tasse, amministrare la giustizia(autorità di banno). Alla morte del beneficiario, almeno in origine, tuttavia, il controllo del territorio sarebbe tornato al sovrano. Il feudatario, dunque, non era il proprietario della terra, ma semplicemente un usufruttuario che riceveva beni e protezione da un potente in cambio della sottomissione (omaggio feudale) e di ungiuramento vassallatico di fedeltà. In base a questo giuramento, il feudatario era tenuto a pagare un tributo e a fornire in caso di guerra un contingente di cavalierie di fanti mantenuto a proprie spese (ost feudale).
Nei secoli X ed XI il potere imperiale carolingio venne meno ed i vari feudatari cominciarono a comportarsi come piccoli monarchi indipendenti. Gli imperatori, sempre meno capaci di tenere unito il proprio dominio assaltato da ogni lato da SaraceniUngari e Vichinghi, cominciarono a concedere l'ereditarietà della carica prima ai feudatari maggiori (capitolare di Quierzy) e poi anche a quelli minori (constitutio de feudis). Iniziò allora quel processo di frammentazione territoriale che trasformò l'Europa nel campo di battaglia di innumerevoli guerricciole tra piccoli staterelli, fenomeno che avrà termine (in parte e solo in alcune aree) solo con la formazione degli Stati nazionali.
Nel clima di totale insicurezza, cominciò un processo di incastellamento che fece sorgere in tutto l'occidente medievale castelli in gran numero. Queste fortificazioni divennero presto i nuclei del potere militare e politico della feudalità e resero i vassalli ancora meno dipendenti dal potere centrale. Molto spesso fu proprio il possesso di fortificazioni a far ottenere a molti potenti il rango di signori, poiché nessun'autorità poteva più garantire la legittimità del potere. Si ottennero così le cosiddette signorie di banno, così chiamate perché non basate sull'affidamento da parte di un sovrano di dei territori, ma sul potere esercitato dal signore stesso (banno, appunto). Fu questo lo scenario in cui si mossero i feudatari nel periodo successivo.
La cultura era feudale, i grandi movimenti dell'epoca (come le Crociate) erano guidati dalla feudalità e la Chiesa tendeva a sacralizzare la figura del vassallo, anche perché anch'essa spesso fu tale. Sebbene rivestiti di una leggenda dorata, molti caratteri dell'epoca precedente rimasero intatti. L'anarchia feudale, ad esempio, non fu scalfita: i vari feudatari continuarono a rinchiudersi nelle proprie rocche (che, anzi, si accrebbero e si rafforzarono ancora di più), a mantenere i propri eserciti privati di cavalieri e a combattersi a vicenda. Nonostante movimenti come la pace di Dio e la Crociata, non si conobbe mai la tanto auspicata unità dei cavalieri cristiani nella lotta contro l'infedele.
Nel corso di questo secolo e di quello successivo si costituirono gli embrioni delle monarchie forze che sarebbero realmente state in grado di contrastare il feudalesimo. I Re, tuttavia, non furono realmente i propri vassalli, poiché molto spesso si rivelarono molto più deboli di loro e, a volte, addirittura più poveri di terre. Un esempio di questa situazione fu la Francia capetingia che controllò direttamente sempre meno terre di quante non ne avessero i suoi vassalli Aquitani e Plantageneti.
La Guerra dei Cent'Anni (1337 - 1453) fu il primo grande colpo subito dalla feudalità medievale: gli eserciti di cavalleria al servizio del Regno di Francia, infatti, furono sonoramente sconfitti dagli arcieri inglesi, soldati d'origine non nobile. I vassalli si dimostrarono in ogni situazione inaffidabili, incapaci ed insubordinati. Battaglie come quelle di CrécyPoitiers ed Azincourt manifestarono l'inadeguatezza delle tecniche belliche feudali davanti all'avanzare degli eserciti e degli armamenti moderni. Fu il primo segno del declino della guerra medievale, fatta da pochi nobili professionisti, e l'inizio dell'inarrestabile declino del feudalesimo.
L'impiego di nuove milizie, l'avvento delle armi da fuoco, l'impiego dei mercenari e degli eserciti permanenti tolsero al mondo la propria ragione di essere: la necessità di difesa. Nel corso del Quattrocento, così, alla moltiplicazione dei titoli nobiliari, al trionfo della corte e a tutte quelle altre manifestazioni che denotarono il cosiddetto Autunno del Medioevo, si accompagnarono la perdita di potere effettivo da parte dei feudatari, il rafforzamento dell'autorità regia ed il consolidamento dei poteri centrali.
Nel corso dell'Età moderna il feudalesimo conobbe una profonda metamorfosi e si avviò verso il proprio definitivo tramonto. La nobiltà cercò di mantenere e di accrescere i propri privilegi, trasformandosi spesso in una classe parassitaria. L'etichetta aristocratica, tuttavia, si perfezionò e divenne più rigida e, mano a mano che i poteri regi si accrescevano, quelli dei nobili, sommersi di privilegi e di titoli vuoti, calavano. La Spagna del XVII secolo e la Francia del re Sole furono le nazioni simbolo di questo progresso.
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