mercoledì 7 gennaio 2015

LA MACELLERIA VEGANA

A Minneapolis la macelleria che vende carne vegana

di LUCA SCIALÒ il 23 DICEMBRE 2014
TUTTOGREEN

Volete mangiare della carne vegana al posto di quella di origine animale? Andate a fare la spesa alla prima macelleria vegana al Mondo!

Una macelleria vegana? Certo, avete letto bene. Il primo esempio è The Herbivorous Butcher, avviata da un fratello e una sorella a MinneapolisAubry e Kale Walch per ora vendono i propri prodotti al mercato ma presto apriranno un negozio vero e proprio grazie alla raccolta fondi sulla piattaforma Kickstarter. Hanno infatti superato quota 61mila dollari.
The Herbivorous Butcher vende squisite salsicce, affettati, wurstel e formaggi vegetali freschi, tutti ricchi di proteine, vitamine del gruppo B, a km zero e da agricoltura biologica. Hanno trovato così il proprio business e, allo stesso tempo dato un contributo al pianeta in termini di tutela ambientale.
Come spiegano loro entusiasti:  “Una modesta riduzione del consumo di prodotti animali, non solo può risparmiare maltrattamenti a miliardi di animali ogni anno, ma può avere un enorme impatto sull’ambiente in un momento in cui il mondo ha urgente bisogno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra per evitare cambiamenti climatici catastrofici”.
Cosa sarà possibile trovare nella loro macelleria vegetale? Dall’affettato tipo mortadella alle italian sausages, le salsicce all’italiana a base di glutine di frumento, brodo vegetale, fagioli e pomodori secchi il tutto insaporito con erbe e spezie tra cui aglio, finocchio, peperoncino rosso, origano, basilico. E poi chorizobacon, formaggi
Qui vi mostriamo qualche foto molto carina da lì estratta, così da farvi un’idea sulle prelibatezze naturali e salutari che propongono:
chorizo macelleria vegana
Mexican chorizo: il salamino spagnolo in versione vegana
Costolette vegane affumicate
Costolette vegane affumicate
Pizza al salame
Pizza al salame vegano
Mortadella
Mortadella vegana
Salsiccia alla salvia
Colazione con salsiccia alla salvia e sciroppo d’acero
Salsiccia all'italiana
Salsiccia aromatizzata all’italiana, con pomodorini secchi
Vi è venuta l’acquolina in bocca?

UNA VERGOGNA DI NOME MONSANTO

Nessun obbligo per le aziende d’indicare se un prodotto è OGM sulle etichette dei prodotti alimentari e le multinazionali come Monsanto se ne approfittano.

Forse pochi si ricordano che negli USA ormai non vige nessun obbligo di contrassegno sulle etichette alimentarie che con il referendum della California del 2012 c’è stato il via libera alla vendita di sementi e semi geneticamente modificati.
Ad approfittarsene le multinazionali Monsanto e DuPont che, dopo la vittoria legata alla Proposition 37 che chiedeva di rendere obbligatoria l’indicazione OGM sulle etichette sui prodotti alimentari, non si sono più fermate e anzi hannoa ncora più liberta grazie all’approvazione della legge HR933 – già ribattezzata da ecologisti e attivisti ‘Monsanto Protection Act’ – che di fatto liberalizza la vendita e l’utilizzo in agricoltura di OGM almeno fino al 2015, impendendo ai tribunali qualsiasi ricorso.
Si tratta chiaramente di una storia di soldi, dal momento che appare evidente che in California gli stanziamenti della lobby rappresentata dai giganti dell’agro-alimentare americano sono stati 5 volte più alti dell’opposizione, e hanno portato al risultato sperato: non è obbligatorio dare indicazioni in etichetta se un prodotto contiene ingredienti OGM o meno.
Ma in America non tutti gioiscono e aumentano i mal di pancia tra gli agricoltori e gli oppositori del colosso internazionale delle sementi biotech.
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L'OLANDA DELLE BICI SOLARI

Non poteva che chiamarsi così la prima bici elettrica ad energia solare: un tributo ad uno dei paesi leader per quanto riguarda le due ruote

Giusto così: uno dei paesi che più sfruttano la bicicletta come mezzo di locomozione, l’Olanda – dove per 16 milioni di abitanti si contano circa 18 milioni di biciclette e 30.000 km di piste – ha ideato una bici elettrica innovativa e completamente ecosostenibile: la Dutch Solar Cycle.
A idearla è stata il Laboratorio Application Solar, e nasce per dimostrare che si può generare energia solamente sfruttando la luce e le celle solari, senza intaccarne il design, funzionando anche in condizioni meteo avverse.
bici elettrica ad energia solare
Come si presenta questa bici elettrica ad energia solare
Come funziona, precisamente, questa bici elettrica ad energia solare? Grazie a pannelli integrati nelle ruote che convertono la luce in energia elettrica e ricaricano la batteria, completamente, in quattro o sei ore in base alle condizioni atmosferiche.
Per ora c’è solo un prototipo in fase di sviluppo e si punta a immetterlo in strada per giugno dell’anno prossimo e mica per un giretto qualsiasi, ma in occasione del The Sun Trip 2015, la gara ciclistica 100% solare che inviterà Guus Faes, co-fondatore di Solar Application Lab, a percorrere 8000 km da Milano a Astana, in Kazakistan. Un giro della durata di 60 giorni.
Sul mercato, invece, arriverà molto più in là. Abbiate pazienza e per ora continuate a pedalare, che fa bene al corpo e alla mente.

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LE ORIGINI ALTERNATIVE DELLA SPECIE UMANA

Una nuova parola nell’archeologia – così può essere definito il lavoro di un pool internazionale di scienziati di cui fanno parte anche specialisti russi. I ricercatori hanno letto il genoma della donna di Neanderthal proveniente della caverna di Denisovo in Altai, nella Siberia Occidentale. L’analisi genetica ha confermato che gli uomini di Neanderthal, Homo sapiens e ancora una, per ora “non-identificata” specie umana, hanno avuto antenati comuni. Finora si riteneva che specie “non si mischiavano” e, dunque, non si scambiavamo geni.
I ricercatori dell’Istituto accademico di archeologia e etnografia di Novosibirsk (Siberia), e anche loro colleghi della Germania, della Cina e degli USA, hanno estratto DNA da un frammento osseo di un piede di una donna di Neanderthal che visse circa 40000 anni fa. I resti sono stati trovati durante gli scavi nella caverna di Denisovo in Altai – nel Sud della Siberia Occidentale.

Questa caverna è diventata famosa nel 2010 dopo che vi fossero state trovate le ossa di una specie umana sconosciuta che per ora si chiama proprio così – i denisoviani. Tuttavia oltre ai denisoviani nella caverna di Altai vivevano anche le specie ben note – l’uomo di Cro-Magnon e l’uomo di Neanderthal. Complessivamente durante gli scavi nella caverna sono rinvenuti oltre 20 strati di terra appartenenti a epoche diverse.
Tuttavia il mistero principale per gli scienziati finora rimaneva l’ipotesi di un possibile accoppiamento tra le specie. Per molto tempo si riteneva che diverse specie umane erano isolate l’una dall’altra e non scambiavano geni. Tuttavia alcuni scienziati, ad esempio, Boris Maliarciuk, responsabile del laboratorio di genetica dell’Istituto accademico di problemi biologici del Nord, hanno attivamente dibattuto la cosiddetta teoria ibrida.
Hanno espresso le supposizioni che l’uomo moderno potrebbe avere come antenati più di una specie – Homo sapiens e i suoi parenti – gli uomini di Neanderthal e i denisoviani. Lo scorso autunno Maliarciuk è stato uno dei primi a scoprire le sequenze di DNA che attestavano l'”ibridizzazione” tra Homo sapiens e gli uomini di Neanderthal. Ora il pool internazionale degli scienziati che hanno decifrato genoma della donna di Neanderthal con l’impiego dell’analisi genetico – molecolare ha confermato l’incrocio tra tutte le specie che abitavano nella caverna di Denisovo.
C’è stato lo scambio di geni tra diverse specie umane, ha scritto il pool di scienziati sulla rivista “Nature”. In altre parole, i rappresentanti delle specie diverse non solo vivevano a turno nella stessa caverna per oltre diecimila anni, ma anche avevano i figli in comune. Risulta che queste specie, separandosi circa 400000 anni fa, comunque non sono diventate completamente isolate gli uni dagli altri.

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IL GOVERNO USA ASSOLDO' OLTRE 1600 NAZISTI PER CREARE BOMBE PARTICOLARI

Oltre 1600 scienziati nazisti lavorarono per il governo degli Stati Uniti preparandosi a combattere la «guerra totale» con l’Urss, e fra le armi che realizzarono ve ne era una a base di Lsd, per «portare scompiglio nell’Armata Rossa sul campo di battaglia» e «piegare le menti dei sovietici».

A rivelare l’episodio inedito della Guerra fredda è la giornalista americana Annie Jacobsen con il libro Operation Paperclip, nel quale descrive il programma segreto dell’intelligente Usa con cui vennero reclutati gli ex scienziati di Adolf Hitler. Il primo passo, nei giorni immediatamente successivi alla resa della Germania, fu la creazione da parte dell’Us Army di Camp King, un centro di detenzione nei pressi di Francoforte dove gli scienziati furono raccolti assieme alle famiglie.
Nell’arco di tre mesi vennero trasferiti negli Stati Uniti, evitando accuse e processi per la collaborazione con Hitler, in cambio dell’impegno a lavorare, nei laboratori militari e di intelligence, alla realizzazione di un nuovo tipo di armi.
Washington era convinta che entro il 1952 vi sarebbe stata una «guerra totale» contro Mosca, con l’impiego di ogni tipo di armamenti – nucleare, chimico e batteriologico – e dunque aveva bisogno degli scienziati a cui Hitler aveva affidato lo sviluppo dei gas più aggressivi, come il sarin. Fra loro c’erano Walter Schreiber, ex ministro della Sanità del Terzo Reich, e il suo ex vice Kurt Blome che aveva partecipato alla ricerca sulle armi batteriologiche.
Dai laboratori militari nacquero così sostanze per la «guerra totale», incluso un allucinogeno basato sull’Lsd, considerato una «potenziale arma» perché prometteva di «far perdere il controllo ai soldati sovietici senza essere costretti a ucciderli». La Cia, formatasi dopo la fine del conflitto, mostrò un forte interesse per l’Lsd «militarizzato» immaginandone più usi, compreso quello di adoperarlo negli interrogatori dei sovietici detenuti per «fargli perdere il controllo» e «manipolarne le menti».
Nacque così un’altra operazione top secret, «Bluebird», che ipotizzava il ricorso all’Lsd «militare» a fini di controspionaggio ovvero per «fare il lavaggio del cervello alle spie sovietiche in maniera da cancellare ogni ricordo di conversazioni con agenti americani».

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STRAGE AMERICANA NELLA SICILIA DEL'43

 A distanza di un anno dall’uscita del saggio storico “OBIETTIVO BISCARI”, che ha come sottotitolo “9-14 luglio 1943: dal ponte Dirillo all’aeroporto 504”, scritto da Stefano Pepi e Domenico Anfora, che nella prefazione il Tenente colonnello Giovanni Iacono ha definito “una pietra miliare nella ricostruzione storica della battaglia di Sicilia”; che è stato pubblicato dalla Casa Editrice Mursia; e che ha rimesso in campo il problema delle stragi di militari italiani da parte degli Americani nei primi giorni dello sbarco, i due Autori siciliani si sono messi alla ricerca delle tracce ormai perse dell’Aeroporto di Biscari a causa dell’avanzata della vegetazione spontanea e delle abbondanti precipitazioni nella provincia di Ragusa e di Catania riportando alla luce i luoghi delle stragi.

I militari italiani, che difendevano l’Aeroporto di Biscari, investiti dal fuoco dell’artiglieria dei soldati del 180° reggimento di fanteria degli Stati Uniti, non buttarono le armi né scapparono, sostenuti nella lotta ad oltranza da due batterie contraeree tedesche della Flak.Per diversi giorni i soldati americani dovettero attaccare le postazioni italiane, lasciando sul campo di battaglia un elevato numero di morti e di feriti. Il 14 Luglio 36 soldati italiani, che facevano parte della retroguardia che aveva consentito con la sua resistenza ai reparti di ritirarsi come da ordine del generale Maniscalco verso la strada Santo Pietro-Caltagirone, si arresero alla compagnia C del 180° reggimento di fanteria del capitano John T. Compton.Il capitano Compton fece fucilare subito sul posto i prigionieri italiani che si erano arresi.
Anche in contrada Ficuzza gli Americani della compagnia A del 180° reggimento di fanteria incontrarono una durissima difesa del territorio da parte degli italo-tedeschi e, quando i difensori si arresero, il sergente Horace T. West, incaricato, assieme ad altri militari americani, di scortare i prigionieri verso la città di Biscari, ordinò loro di togliersi gli abiti e le scarpe, li incolonnò e li fece camminare fino al torrente Ficuzza, dove li fece fuori a colpi di mitra. 37 furono i morti italiani, 4 quelli tedeschi. Si salvarono l’aviere Giuseppe Giannola e i mitraglieri Virgilio De Roit e Silvio Quaiotto, i quali denunciarono con dovizia di particolari quanto era successo.
Durante le ricerche condotte nel corso della stesura della loro opera, Stefano Pepi, Domenico Anfora e Giovanni Iacono, si sono imbattuti in una testimonianza che riportava un’altra esecuzione perpetrata sempre dagli Americani del 180° reggimento fanteria, che faceva parte della 45° divisione Americana. Supportati dallo storico di Acate, Antonio Cammarana , e dal Senatore Andrea Augello, che ha trovato i nomi di tre soldati della milizia fucilati assieme ad altri cinque, Pepi, Anfora e Iacono hanno intensificato le loro ricerche arrivando a concreti risultati.
Dalla testimonianza del signor Lo Bianco Luigi, contadino nei pressi dell’aeroporto di Biscari, che all’epoca dei fatti era un ragazzo di 15 anni, si è appurato che, nella strada tra l’aeroporto di Biscari e Caltagirone, in contrada Saracena, 8 soldati italiani, tra cui 3 camice nere appartenenti alla 19° batteria da 76/40 del 31° gruppo di stanza all’aeroporto di Biscari, furono fucilati dagli Americani. I nomi delle camice nere, ritrovati dal Senatore Andrea Augello, sono: Luigi POGGIO nato a Genova il 21.06.1905, Angelo MAISANO nato a Messina il 30.09.1891 e il Vice Capo squadra Colombo TABARRINI nato a Foligno nel 1895. Il signor Lo Bianco precisa che i militi vennero fatti allineare lungo il muro di cinta di Villa Cona e fucilati.
Pepi, Anfora e Iacono, approfondendo inoltre la lettura dei verbali della Corte Marziale Americana riguardanti i procedimenti del sergente West e del Capitano Compton, sono risaliti alla testimonianza del reverendo LT Colonnello William E. King , colui che denunciò per primo le stragi di Biscari al Comando americano. Dichiara il reverendo LT Colonnello King: “ Alle 13 .00 del 15 Luglio 1943, mentre mi stavo recando al posto di Comando del 180° Reggimento di fanteria, a circa 2 Km a sud di Caltagirone , sul punto di coordinate 457454, ho osservato una fila di corpi stesi vicino al ciglio della strada principale in un piccolo vicolo, che confluisce sulla strada principale da est”. Il reverendo King continua con queste parole: “Quando tornai dalla linea del fronte, mi fermai nel posto già citato e osservai con attenzione i corpi che avevo visto andando al fronte. C’erano 8 corpi di Italiani che erano stesi in fila, 6 a faccia in giù e 2 a faccia in su. Erano stati fucilati esattamente nello stesso modo di quelli osservati a sud dell’Aeroporto di Biscari, tranne che questi non erano stati fucilati alla testa e che parecchi corpi avevano più di una ferita alla schiena e al petto”. La descrizione minuziosa del luogo fatta dal Reverendo King e le coordinate contenute nel verbale inquadrano la scena di questo crimine in un incrocio della via Giombattista Fanales ,angolo strada Aeroporto di Biscari- Caltagirone.
La differenza tra i corpi notati dal cappellano, LT Colonnello King, e quelli riportati dal sig. Lo Bianco è minima: il Colonnello King parla di 8 corpi, il sig. Lo Bianco dichiara che i corpi sono 7; e che le località indicate sono molto vicine, lungo la strada Aeroporto di Biscari-Caltagirone, per cui potrebbe trattarsi dello stesso episodio, anche se non si può escludere che si tratti di 2 fucilazioni diverse. A questo punto potrebbe trovare convalida la testimonianza resa al dottor Michele Sinatra, ex direttore amministrativo dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, nativo di Caltagirone e vissuto fin da bambino presso l’aeroporto di Biscari, dal signor Mineo Gesualdo, oggi defunto, che sosteneva che i fucilati della Milizia sopraindicati si trovavano insieme a 5 civili che vestivano di nero a causa di un lutto familiare, in contrada Saracena. Su questa ultima testimonianza la ricerca di riscontri è alle battute finali.

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domenica 4 gennaio 2015

LA CAUSA DELLE ERUZIONI SOLARI

l processo fisico responsabile delle espulsioni di massa coronale, le gigantesche eruzioni di materia dalla corona del Sole, è governato da un particolare flusso del campo magnetico locale che libera improvvisamente un'enorme quantità di energia. È il risultato di uno studio pubblicato su “Nature” da Tahar Amari dell'Ecole Polytechnique del CNRS francese e colleghi. Le nuove informazioni, in grado di caratterizzare meglio rispetto al passato questi fenomeni solari, potrebbero migliorare la previsione dei fenomeni più energetici, che influiscono sul corretto funzionamento del satelliti in orbita intorno alla Terra e sulla generazione di energia elettrica sul nostro pianeta.

La corona è lo strato più esterno dell'atmosfera del Sole. Uno dei processi fisici più caratteristici di questo strato è il getto di massa coronale, un gigantesco fenomeno eruttivo durante il quale vengono espulsi elettroni e protoni, oltre a piccole quantità di altri elementi come elio, ossigeno e ferro, trascinati da un intenso campo magnetico.

Il motore delle eruzioni sull'atmosfera del Sole
Una suggestiva immagine di un'espulsione di massa coronale: l'immagine della Terra aggiunta in digitale esemplifica le dimensioni del fenomeno (Tahar Amari, Centre de physique théorique, CNRS, Ecole Polytechnique)
Ma qual è il meccanismo fisico che governa le espulsioni di massa coronali? Questa domanda è rimasta finora senza risposta, anche se sono stati elaborati due modelli teorici differenti. In entrambi sono coinvolti il flusso di campo magnetico locale, che si avvolge a elica, assumendo una particolare forma simile a quella di una corda attorcigliata (twisted rope), e un peculiare fenomeno che si verifica quando sono presenti contemporaneamente due campi magnetici che puntano in direzioni opposte: la riconnessione magnetica. Si tratta di un complesso fenomeno che si verifica nei plasmi, cioè nei gas fortemente ionizzati posti in condizioni di temperatura molto elevata, in cui un riarrangiamento delle linee di campo magnetico determina un improvviso rilascio di energia.

Nel primo modello, un flusso magnetico elicoidale si trova inizialmente in equilibrio; quando questo equilibrio si rompe, la successiva riconnessione alimenta l'espulsione di massa coronale. Nel secondo modello, lo stesso tipo di flusso non è presente inizialmente, ma si forma come risultato di una riconnessione. 

Il motore delle eruzioni sull'atmosfera del Sole
Un'immagine dei flussi di campo magnetico della corona modellizzati nello studio (Tahar Amari, Centre de physique théorique, CNRS, Ecole Polytechnique)
Studiando una regione attiva, cioè un'area in cui il campo magnetico solare è particolarmente intenso, con il Solar Optical Telescope (SOT) a bordo del satellite Hinode della NASA, per un periodo di quattro giorni a dicembre 2006, Amari e colleghi hanno dimostrato che il primo modello è quello più probabile.

Secondo gli autori, fino a quattro giorni prima dell'eruzione, l'energia magnetica è bassa, ma aumenta con il tempo, e un giorno prima dell'eruzione si forma il flusso elicoidale, che cresce sempre di più, e viene poi costretto a estendersi verso l'alto quando l'energia magnetica è troppo elevata. La successiva riconnessione determina un'espulsione di massa.